Con 183 voti favorevoli e 4 astenuti, il Senato ha approvato il ddl Boschi, ovvero la riforma costituzionale che segna la fine del bicameralismo perfetto. Se il ddl diventerà legge, Camera e Senato non avranno più le stesse funzioni e il Senato non sarà più elettivo: infatti, il numero di senatori scenderà da 315 a 100 e tra questi ultimi, 95 saranno eletti non dai cittadini, bensì dai Consigli Regionali (per la precisione, saranno 74 consiglieri regionali e 21 sindaci). Gli ultimi 5 rimanenti prenderanno il posto dei cosiddetti “senatori a vita” e verranno scelti direttamente dal Capo dello Stato. Il principale ruolo che questo nuovo Senato – sempre se il ddl diventerà legge – dovrà svolgere sarà di “raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”, mentre invece la Camera dei Deputati rimarrà l’unico organo in grado di votare la fiducia al governo. I facenti parte della nuova istituzione avranno le stesse tutele che sono riservate ai deputati, ma a differenza di loro non percepiranno alcuna indennità: la loro carica durerà 7 anni e il Senato potrà votare solo per leggi e riforme costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, e sul diritto al matrimonio, alla famiglia e alla salute; nonché potrà intervenire in occasione di ratifiche di trattati internazionali. Prima che il ddl approvato oggi dal Senato diventi legge, occorre che si segua un iter particolare di approvazione, che prevede due passaggi alla Camera e un altro al Senato stessa, in tutto altri 3 step tra gli organi parlamentari.
E’ previsto tra pochi minuti il voto finale sulla riforma del Senato e alla modifica il titolo V della Costituzione. Terminato ieri sera l’esame dei 40 articoli e dei vari emendamenti, l’assemblea di Palazzo Madama sta per dare il via libera, in prima lettura, al disegno di legge costituzionale recante “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione”. I lavori sono iniziati stamattina con le dichiarazioni di voto, mentre il voto finale dovrebbe arrivare a breve. Dopo questo passaggio, il primo, sono previste almeno altre tre letture tra Camera e Senato. I senatori del Movimento 5 Stelle hanno lasciato l’Aula del Senato prima del voto in segno di protesta, mentre anche la Lega ha annunciato che non parteciperà al voto finale. Non voteranno poi anche Sel e gruppo misto.
Con 346 sì, 177 no e otto astenuti, l’Aula della Camera ha votato la fiducia posta dal governo sul Dl Pubblica amministrazione. Dopo il via libera del Senato, il testo giunto all’esame di Montecitorio è lo stesso licenziato ieri senza modifiche dalla commissione Affari costituzionali. E’ previsto adesso l’esame degli ordini del giorno, a cui seguiranno le dichiarazioni di voto e infine l’attesa conversione in legge. Ecco di seguito i punti principali del decreto:
Una volta raggiunti i requisiti pensionistici, nessun dipendente pubblico potrà rimanere a lavoro. La novità entrerà in vigore da ottobre e sarà valida anche per i magistrati (ma per questi ultimi scatterà solo dall’inizio del 2016). Fino a questo momento la carriera poteva essere portata avanti ancora per due anni.
Le pubbliche amministrazioni potranno mandare in pensione i dipendenti a 62 anni, motivando la scelta e purché abbiano maturato l’anzianità massima. L’uscita dal lavoro è stata dunque anticipata di 4 anni (rispetto al limite dei 66 anni) e, nonostante fosse già prevista, sono stati inclusi nella platea anche i dirigenti. Ci sono però alcune eccezioni: per i medici la soglia d’età è fissata a 65 anni, mentre sono esclusi primari, magistrati e professori universitari.
Ogni dipendente pubblico potrà essere trasferito da un ufficio all’altro, anche senza motivazioni, purché nel raggio di cinquanta chilometri. Il provvedimento non vale però per i genitori con bambini sotto i 3 anni o tutelati dalla legge 104.
I magistrati impegnati in incarichi presso uffici di diretta collaborazione con la Pa non godranno più dell’aspettativa, quindi dovranno obbligatoriamente andare fuori ruolo. Questo invece non vale per coloro che hanno già ottenuto l’aspettativa o il diritto ad essa.
Le amministrazioni possono procedere ad assunzioni che non superino il 20% delle spese sostenute per quanti sono usciti nel 2014: questa percentuale diventerà del 40% nel 2015 e del 100% nel 2018. Un’eccezione è rappresentata dai vigili del fuoco, con la possibilità di procedere ad oltre mille nuove assunzioni.
Tra le misure maggiormente contestate in Aula c’è quella che prevede il taglio delle somme dovute dalle imprese alle Camere di commercio. Il dimezzamento dei diritti camerali verrà infatti spalmato su tre anni, mentre inizialmente era previsto in un anno: la modifica prevede il 35% per il 2015, il 40% nel 2016 e il 50% nel 2017.