Le dimissioni di Raffaele Bonanni (non) sono arrivate come un fulmine a ciel sereno. La Cisl da tempo si interrogava sul suo futuro, sul suo domani. Il lungo e iperattivo governo del sindacalista abruzzese ha girato sottosopra la sua organizzazione, dandole nuovo fiato, nuova impostazione, conquistandole spazi di visibilità e facendone ancor più il sindacato del riformismo di fronte al sindacato della conservazione.



Negli otto anni in cui Bonanni è stato segretario, la Cisl ha tessuto una rete di relazioni nel sociale e nella politica che oggettivamente hanno inciso sull’agenda della discussione politica. Parole come sussidiarietà, valore dell’impresa e dell’imprenditore, senso e significato del lavoro sono entrate nel lessico quotidiano. Perfino chi le ha sempre avversate oggi ha iniziato a farle proprie: magari per svuotarle di significato, ma pur sempre acquisendole nel proprio vocabolario.



Bonanni ha guidato la Cisl con mano forte, senza pugno di ferro ma potendo contare su un vasto consenso, fatto di relazioni personali ma anche di accordi politici. Se, ad esempio, il consenso della Sicilia poteva derivargli dal fatto di esserne stato segretario, il supporto della potente regione della Lombardia gli è stato garantito dalla sua stretta relazione con la segreteria di Milano, come anche dal rapporto che il leader cislino stesso ha stabilito con Gigi Petteni. Proprio Petteni, però, da tempo stava tessendo una rete che lentamente andava erodendo il consenso di Bonanni: dietro al cambio di rotta del segretario lombardo non è difficile intravedere anche alcuni suoi legami con il mondo piddino bergamasco e padano, e più specificamente renziano.



Non a caso origine ultima del contendere tra i due è stato proprio il presidente del Consiglio: con il quale, secondo Petteni, la Cisl avrebbe dovuto stabilire un confronto più stretto, mentre secondo Bonanni questa doveva essere la stagione del confronto e della distanza da un Governo che giudicava fermo e inefficiente. Oltre che lontano anni luce da quella sussidiarietà, da quel protagonismo della società civile che invece per il capo dimissionario del sindacato di via Po, doveva essere motore politico ed economico del rilancio dell’Italia.

In fondo è proprio su questa opposta visione che è avvenuta la frattura decisiva fra i due: un ruolo attivo e non subalterno del sindacato, secondo Bonanni; un rapporto più stretto e una relazione politica con il potere soprattutto personale per Petteni. La presa di distanza del segretario lombardo da Bonanni ha convinto quest’ultimo, al centro di voci e sospetti, della fine di una stagione politica e della necessità di lasciare il suo incarico.

Le sue dimissioni chiudono dunque un’era: perché è certo che Anna Maria Furlan, indicata da Bonanni stesso per la propria successione, è diversa da chi l’ha preceduta. Diversa, non opposta. Se Bonanni era l’uomo della contrattazione, del mutualismo, Furlan ha comunque guidato la delegazione Cisl che ha siglato l’accordo con Cgil, Uil e Confindustria sulla rappresentanza. Segno che esistono importanti punti politici di contatto tra i due.

Come sempre, continuità e novità si mescolano nel destino della confederazione fondata da Giulio Pastore e pensata da Mario Romani oltre 60 anni fa.

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