Cosa serve per fare una rivoluzione come quella annunciata da Richard Branson, patron del gruppo Virgin, che ha abolito (sia pure, al momento, per un gruppo ristretto di dipendenti in Gran Bretagna e Stati Uniti) orari di lavoro e richieste di ferie e di permessi? Senz’altro serve coraggio: quale del resto Branson non ha mai mancato di dimostrare, nel corso della sua vicenda imprenditoriale, che lo ha portato via via ad affiancare all’originaria etichetta discografica una radio, un gruppo di palestre, una compagnia aerea e persino una società specializzata in viaggi galattici.



Non di solo coraggio tuttavia si tratta quando si consente a dei dipendenti di comportarsi come liberi professionisti, assentandosi quanto e come vogliono, con l’unico vincolo di non danneggiare l’azienda, i colleghi, i progetti comuni. Si tratta anche di realismo: della capacità manageriale di guardare alla realtà e interpretarla correttamente. La realtà è quella dello smart working, della reperibilità dei lavoratori ormai pressoché illimitata, estesa nel tempo e nello spazio grazie alle nuove tecnologie.



È la stessa realtà del nostro Paese: dove pure aumentare la produttività fa rima con aumentare le ore lavorate e basta ipotizzare un cambio di prospettiva per essere sospettati di lassismo. Non è chiaro che senso abbia continuare a conteggiare le ore di presenza in azienda, nell’epoca in cui ogni confine tra dispositivi personali e professionali, e quindi tra interno ed esterno dell’azienda stessa, è ormai caduto. Non è chiaro soprattutto che senso abbia vincolare a questa presenza, invece che al raggiungimento degli obiettivi fissati, la retribuzione, la valutazione, la crescita: come se fossimo contemporanei di Ford, invece che di Zuckerberg.



Oltre al coraggio e al realismo, a essere in gioco qui è la convinzione che chi lavora possa rendere di più e meglio se più libero, meno costretto, più felice – per dirla con le parole di Branson. Parole che trasudano fiducia nelle persone, nella loro capacità di autogovernarsi al di là di cartellini e di regolamenti, di operare per il bene individuale e per quello comune, non perché così sia prescritto, ma perché è più conveniente per entrambi le parti.

Altro che articoli 18, decreti legge sul lavoro, bonus elettorali: è la percezione di questa fiducia a giovare ai dipendenti, quelli di Branson così come quelli di Netflix, società cresciuta in pochi anni da piccola azienda di noleggio DVD per corrispondenza a colosso globale della TV online, con quaranta milioni di clienti nel mondo, che da tempo non tiene più il conteggio delle ferie dei dipendenti.

Un modello non solo di efficienza e di produttività, ma anche di creatività: energie liberate dalla schiavitù delle timbrature, per essere meglio indirizzate, tanto nella sfera lavorativa quanto in quella privata. A parlare a Branson del caso Netflix, che sembra abbia ispirato la sua decisione, è stata sua figlia: forse è un caso, o forse un indizio della direzione in cui guardare.