In questa fine estate, o meglio nel lungo autunno che quest’anno ha collegato maggio a settembre, il Governo Renzi, un po’ a corto di polemiche e avendo pochi problemi da affrontare e dunque un sacco di tempo libero, ha lanciato sul tappeto la sua guerra al sindacato. Tra un twittio sul niente, un selfie e un bagno di acqua gelata, i sindacati sono stati dichiarati inutili e vecchi. Qualche critico ci ha aggiunto che sono anche impopolari. Ohibò, vien da chiedersi: che anche la piovosa e grigia stagione che abbiamo alle spalle sia da addebitare alla Trimurti, al Triangolo della Morte rappresentato da ABC, al secolo Angeletti, Bonanni, Camusso?
Tornando seri, e soprattutto tornando alla realtà quotidiana, vale la pena, per capire quel che sta succedendo, a partire da una frase dal sen fuggita al ministro Madia, la quale, nella sua giovinezza beata, forse non ne ha calcolato appieno il peso. Il Ministro, intervistato sulle supposte reazioni sindacali ai tagli degli esoneri nel settore pubblico, ha risposto che «i cittadini dopo la politica ci chiedono di cambiare i sindacati». Ecco il punto: “i cittadini ci chiedono”, o meglio il punto è quel “ci”, cioè “a noi, al Governo”. In quel pronome, in quella parolina c’è la radice del fallimento, finora, delle politiche economiche e sociali del Governo Renzi. Intendiamoci, fallimento rispetto ai metodi (sussidiarietà, attenzione ai corpi intermedi) e ai tempi che esso ci (traduciamo: “a noi cittadini”) aveva promesso, ai contenuti che ci (idem come sopra) aveva garantito, alla velocità che si (cioè: “a lui stesso”) era imposto.
Se domani tutto magicamente cambiasse, cambierebbe certo anche il nostro giudizio, ma finora, a sei mesi dalla sua salita al potere, il sentimento comune è che il Governo abbia fallito sugli obiettivi che interessano gli italiani. Che non abbia centrato il bersaglio o che abbia sbagliato sagoma poco importa, il fatto è che stiamo precipitando nella crisi economica e la sola risposta ottenuta è la conferma di politiche già sperimentate negli anni scorsi; che interi settori produttivi (farmaceutico, chimico, per dirne alcuni) sono spariti dall’Italia e non c’è traccia di politica industriale o di politica energetica; che stiamo perdendo quote di mercato estero e finora la sola idea per il decisivo rilancio di quello interno sono stati gli 80 euro, in gran parte finiti nelle tasche, avide e vuote, degli enti locali che hanno aumentato finché hanno potuto le tasse; che ci sarebbe bisogno di lavoro e il Governo si avvita in una polemica interna sull’articolo 18, risolvendola poi con il classico metodo del “benaltrismo” e quindi rinviando il tutto sine die.
Torniamo dunque a quel “ci”. Davvero il sentimento degli italiani è che tocca al Governo cambiare i sindacati? Davvero i nostri connazionali pensano che i sindacati siano roba del Governo e che questi debba/possa intervenire su di essi? Davvero milioni di cittadini, quelli aderenti ai sindacati per intenderci, hanno reclamato per le decisioni prese dal Governo in materia di tagli ai distacchi?
La sensazione è che, su questo e tanti altri temi, Renzi stia semplicemente ripercorrendo le orme di un vero maestro nel settore, Silvio Berlusconi. I sondaggi dicono che la parola sindacati scatena le ire di molti italiani, in particolare quelli che a essi non aderiscono? E allora dagli al sindacato! A prescindere da contenuti e dati di fatto, a prescindere dai numeri, dalla realtà delle cose, da quel che avviene nel tessuto sociale, economico, industriale. È la logica del selfie: farsi la foto, guardarsela, pubblicarsela e farsela commentare, in un loop autoreferenziale e autocelebrativo che esclude l’oggettività più vera, la realtà più concreta e quotidiana.
I dati, infatti, dicono che anche oggi – un oggi inteso come il giorno odierno, non come generico tempo presente – alcuni milioni di persone (diciamo 8 per stare bassi…), stanno rinnovando la loro adesione a Cgil, Cisl e Uil. È un fatto. Sempre oggi questi milioni di soci hanno espresso consensi, critiche, dissensi sulle “loro” associazioni, così come milioni di juventini o milanisti hanno detto la loro sulla “loro” squadra del cuore (a proposito perché il Governo, con la stessa logica, non interviene anche in merito alle formazioni delle squadre di calcio?). Sempre oggi alcune centinaia di migliaia di persone si sono incamminate verso le sedi sindacali per chiedere aiuto contro la burocrazia statale (quella che è governata dal Governo, per dirla con una figura retorica) che incarta (in senso letterale) la loro vita e quella dei loro cari, per chiedere un aiuto nella ricerca di lavoro, per domandare cosa fare di fronte alla crisi che ha prosciugato le casse familiari, per cercare un accompagnamento (concreto, in auto), loro o di un loro familiare a una visita medica.
Di nuovo, oggi alcune migliaia di datori di lavoro si sono rivolti alle sedi di Cgil, Cisl e Uil per gestire insieme una Cassa integrazione, per sottoscrivere un contratto integrativo, per preannunciare una chiusura causa qualche lentezza della giustizia civile, qualche credito non più esigibile, qualche banca che non eroga più e preferisce scommettere sui bond e sulla finanza piuttosto che sull’economia reale.
Davvero allora i cittadini chiedono al Governo di cambiare i sindacati? Al riguardo la nostra sensazione è negativa, e che invece una vera riforma dei sindacati gli iscritti la chiedano/ pretendano quotidianamente dai loro stessi sindacati col semplice metodo di sottoporre a essi i propri bisogni concreti e di chiedere a essi una risposta altrettanto precisa, seria e concreta. Per questo si ha la netta impressione che il Governo, a corto di populismi, abbia tirato fuori roba vecchia di qualche mese per far credere alla pubblica opinione di aver mantenuto le promesse, di aver proprio “cambiato” qualcosa. In mancanza di altro, in carenza di cose vere, fatte e ottenute, potendo solo vantare annunci, titoli che coprono colonne scarsine di veri contenuti, ci si è lanciati in una mesta polemica tardo estiva.
Ha molta ragione, invece, quel giornalista che, magari un po’ genericamente, ha chiesto al sindacato di cambiare, di riformarsi, di uscire da quelle forme d’immobilismo che ancora ne attanagliano qualche frangia. È il caso di Dario Di Vico, il quale sulle colonne del Corriere si è prodotto in una riflessione sui principali corpi intermedi che ancora vivono nel nostro Paese. Il suo grido è un grido serio e come tale va preso: cambiate se non volete morire, ci ha detto, perché di voi c’è bisogno soprattutto oggi.
Torniamo invece ancora a quel “ci” del ministro Madia: oggi, come detto, la società civile, e il Corriere della Sera ne rappresenta una bella fetta, non chiede al Governo di cambiare il sindacato, ma chiede una diversa politica sindacale e la chiede al sindacato. Il Governo faccia il Governo: vuol tagliare i distacchi? Bene, ottimo. Vuol inviare a casa degli italiani le dichiarazioni dei redditi precompilate? Ottimo, purché però, aggiungiamo, le stesse siano corrette, gli invii siano tempestivi, i contenuti non obblighino poi i cittadini stessi a farsi comunque la fila! Vuol abolire i patronati contando che tutto venga fatto via internet o direttamente agli sportelli Inps? Benissimo. Purché però alla fine succeda quel che ci (noi cittadini) si augura e non capiti invece come per tante leggi, perfettine in via ideale, del tutto sconclusionate nella realtà, e deleterie per la vita vera e comune. Purché non succeda cioè, come per le politiche di creazione di posti di lavoro, e che a un annuncio (toh! un “annuncio”…), segua un fatto vero e non n’ammuina!
I sindacati non sono una burocrazia, non sono organismi dello Stato, non sono partiti politici. Non sono neppure dei selfie, degli enti virtuali, entità speculative e viventi solo su Facebook. I sindacati sono il sangue e la carne di quei cittadini che hanno capito, per averlo sperimentato sulla propria pelle, che da soli sono più deboli e quindi più facilmente prede di ogni potere, anche di quello del Governo di turno. I sindacati sono le persone che accolgono giornalmente coloro che non ricevono risposte da enti, burocrazie strutture. I sindacati sono uomini e donne in carne e ossa che ogni giorno fanno un lavoro silenzioso e prezioso per creare lavoro laddove esso c’è, cioè lì ove si produce (e non si consuma) Pil, e per ridistribuire la ricchezza che così si genera.
I sindacati, almeno la Cisl, si sono già tagliati le proprie Province, hanno già accorpato le proprie Regioni, hanno già ridotto le proprie Prefetture e Questure, hanno già chiuso i propri “enti inutili”, hanno già razionalizzato i propri bilanci, hanno eliminato le consulenze esterne inutili e dispendiose, hanno già pubblicato le proprie buste paghe e i propri bilanci. Essi sono dunque nella legittima condizione di chiedere orgogliosamente al Governo se lui tutto questo l’ha già fatto o l’ha solo annunciato. Ma forse loro l’hanno fatto perché il poco tempo a disposizione non l’hanno usato per dei selfie e dei twittii ma si sono accontentati di stare nella realtà, cioè laddove si forma la verità!
Non siamo certo esenti da colpe e misfatti, da carenze e dimenticanze, ma, come dice un adagio, solo chi fa sbaglia, mentre chi non fa … insegna, o meglio, con una leggera variante, annuncia!