Con il mese di settembre 2014 è diventato pienamente operativo, quanto meno nell’attività di riscossione, il Fondo di solidarietà residuale dell’Inps, istituto previsto dalla cosiddetta Riforma Fornero (L. 92/2012), che continua così a far sentire i suoi effetti, anche se in questo caso, e almeno nell’immediato, non appaiono benefici. Oggi il tema è tornato di attualità perché l’Inps ha dato il via libera ai primi versamenti dovuti al fondo entro il 17/11/2014, con un onere di finanziamento pari allo 0,5% sulle retribuzioni mensili, che grava per due terzi sull’azienda e per il restante terzo sul lavoratore.



Si dovrà quindi registrare per alcune realtà aziendali, di seguito meglio individuate, un aumento del costo del lavoro pari allo 0,33% sulle retribuzioni lorde; mentre per i lavoratori, con la sola eccezione dei dirigenti, la novità si concretizzerà in una maggiore trattenuta pari allo 0,17% dello stipendio. In più la decorrenza dell’obbligo è retroattiva, quindi il contributo è dovuto dal 1° gennaio 2014, anche se per gli arretrati da gennaio a settembre 2014 c’è tempo fino al 16/12/2014 per effettuare il relativo pagamento.



Vediamo meglio a quanto ammonta la “tassa” che i dipendenti troveranno sulla busta paga di ottobre 2014: per una retribuzione mensile lorda di 2.000 euro (per 14 mensilità) al dipendente saranno trattenute circa 37 euro mentre l’impresa ha un onere di circa 73 euro, per un contributo complessivo da versare al fondo per il periodo gennaio – ottobre 2014 di circa 110 euro.

Cos’è allora questo fondo? A chi e a cosa serve? Quali sono le imprese interessate? Il fondo residuale, costituito presso l’Inps con piena autonomia finanziaria e patrimoniale, è un ammortizzatore sociale dedicato ai dipendenti di imprese operanti nei settori non coperti dalla Cassa integrazione guadagni, che occupano mediamente più di 15 dipendenti. L’Inps, nell’allegato al recente Messaggio dell’8/09/2014 n. 6897, ha fornito una tabella dei settori interessati dalla normativa sul fondo residuale, individuati dai cosiddetti codici statistici contributivi (c.s.c) e codici di autorizzazione (c.a.), rispettivamente assegnati dall’Inps per indicare settore, classe e categoria di appartenenza dell’azienda in relazione all’attività svolta ed eventuali particolarità contributive della società.



In particolare, sulla base dell’elenco fornito dall’Inps, è pacifica l’inclusione nell’ambito del fondo residuale delle seguenti categorie di datori di lavoro: imprese del Terziario o di somministrazione escluse quelle in agricoltura (c.s.c. 7.07.08), Alberghi e Pubblici esercizi (c.s.c. 7.05.01, 7.05.02, 7.05.04), Studi professionali e medici (c.s.c. 7.07.01, 7.07.02), Case di cura e Cliniche private (c.s.c. 7.07.04), Scuole private e religiose o Enti morali (c.s.c. 7.07.06), imprese del Commercio, Turismo, Agenzie viaggio, Logistica solo se occupano fino a 50 dipendenti (c.s.c. 7.01.xx; 7.02.xx, 7.04.01).

Nel documento l’Inps ribadisce l’esclusione delle imprese rientranti nell’ambito di applicazione di fondi di solidarietà già istituiti in base a norme previgenti, come ad esempio il Gruppo Poste, il credito, le società del gruppo FS, le imprese del trasporto aereo e quelle del settore assicurativo. Sono inoltre escluse dal fondo residuale le aziende individuate in base a specifici codici di attività Ateco 2007, quali ad esempio partiti, associazioni politiche, condomini (per portieri e addetti alle pulizie) e le attività di lavoro domestico.

L’applicazione della normativa sul fondo residuale è quindi indipendente dal Ccnl applicato, mentre rileva l’inquadramento previdenziale (definito da c.s.c. e c.a.) e i codici attività Ateco 2007 che risultano nelle visure camerali, fermo restando il superamento dei 15 dipendenti che l’impresa verifica nel semestre precedente. Lo scopo dichiarato del fondo è assicurare ai dipendenti una tutela minima durante il rapporto di lavoro nei casi di riduzione/sospensione dell’attività lavorativa, per cause di Cigo (intemperie stagionali, situazioni temporanee del mercato, altri eventi temporanei non dovuti al datore di lavoro o ai lavoratori) o Cigs (principalmente ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione aziendale o crisi aziendale).

Il fondo è detto residuale proprio perché deve operare appunto solo “residualmente” e in via transitoria, in attesa della stipula di accordi collettivi di settore aventi per oggetto la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali, tra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative a livello nazionale. Quando si procederà alla stipula di tali accordi e contratti collettivi le imprese operanti nel relativo settore non saranno più soggette alla partecipazione al fondo residuale.

Peraltro su tale argomento si registra a oggi una quasi totale inerzia delle parti sindacali (tranne nei settori credito e imprese assicuratrici in cui già esistevano i fondi di solidarietà), forse giustificata dal fatto che i fondi bilaterali, essendo interamente finanziati da aziende e lavoratori, risultano particolarmente impopolari, soprattutto fino a quando (2016) opererà la cassa in deroga finanziata quasi interamente da Stato e Regioni. In proposito, infatti, oltre al descritto contributo ordinario mensile dello 0,5%, in caso di accesso alle prestazioni del fondo residuale l’azienda deve pagare, a suo completo carico, un contributo addizionale calcolato “in rapporto alle retribuzioni perse” durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa pari al 3% per le imprese che occupano fino a 50 dipendenti e al 4,5% per le imprese con organico superiore. Per la Cig in deroga, invece, non è dovuto alcun contributo ordinario e, in caso di accesso alle prestazioni il contributo addizionale, per le medesime aliquote sopra indicate dovrebbe risultare meno oneroso perchè calcolato sull’integrazione salariale corrisposta e non sulle retribuzione perse.

A ciò si aggiunga che il Fondo dovrà corrispondere sì l’assegno ordinario di integrazione salariale nella misura già prevista per la Cig, anche in deroga (nel 2014 fino a un massimo di 969,77 euro in caso di retribuzione mensile lorda inferiore o uguale a 2.098,04 euro o fino a un massimo di 1.165,58 euro in caso di retribuzione superiore a 2.098,04 euro), ma tale trattamento ha una durata inferiore a quella prevista per la Cig in deroga. Infatti, ciascun intervento è corrisposto dal Fondo per una durata massima di tre mesi continuativi (circa 520 ore di riduzione/sospensione dal lavoro), solo in casi eccezionali prorogabili trimestralmente fino a un massimo complessivo di nove mesi, da computarsi in un biennio mobile. Oggi invece la Cig in deroga, per effetto del recente Decreto Interministeriale Lavoro-Economia del 1.08.2014 n. 83473, opera nel 2014 per un periodo massimo di undici mesi e per il 2015 di cinque mesi nell’anno. In ogni caso il Fondo ha l’obbligo del bilancio in pareggio, non può erogare prestazioni in carenza di disponibilità e dal 2020 il sistema diventerà ancora più ‘‘a consumo” con la possibilità per l’azienda di recuperare attraverso le prestazioni ai lavoratori sospesi solo le somme già versate.

Rimangono aperte alcune questioni circa l’operatività del Fondo residuale. Innanzitutto come si devono comportare le imprese rispetto ai dipendenti cessati tra gennaio e settembre 2014: si paga il contributo ordinario dello 0,5% anche sulle loro retribuzioni? Logicamente il contributo non dovrebbe essere pagato per lavoratori oggi non in forza, sia perché non possono essere beneficiari delle relative prestazioni, sia perché l’impresa si troverebbe a dover sostenere anche la quota che per legge grava sul dipendente.

L’altra questione che si pone è in ordine alla contemporanea coesistenza della Cig in deroga, posto che l’ambito di applicazione dei due istituti risulta parzialmente sovrapponibile per settore e tipologia del datore di lavoro. Il citato decreto del 1° agosto precisa che la Cig in deroga si applica solo a imprese non soggette alla disciplina in materia di cassa integrazione ordinaria o straordinaria e alla disciplina dei fondi di solidarietà. Quindi la Cig in deroga dovrebbe operare solo “in via residuale” quando non si applica il fondo residuale, come ad esempio per le imprese con meno di 15 dipendenti. D’altra parte oggi il fondo residuale non è operativo nel corrispondere le descritte prestazioni. Evidentemente questi aspetti necessitano di prossimi chiarimenti.

Risulta chiaro che i fondi di solidarietà a regime dovrebbero attuare un “più efficiente, coerente ed equo assetto degli ammortizzatori sociali” che era letteralmente uno degli obiettivi della Riforma Fornero del 2012. In ultima analisi mi pare sia stato doveroso garantire con legge una tutela minima a lavoratori che sino a oggi, per il caso di contrazione delle attività in costanza di rapporto di lavoro, erano discriminati rispetto a lavoratori “privilegiati”, dipendenti di imprese operanti in settori storicamente coperti dalla cassa integrazione (industria ed edilizia). Ciò però, è bene esserne consapevoli, avverrà con un sistema diverso dal passato perché interamente finanziato dalle aziende (e in minima parte dai lavoratori) e con un trattamento che nel complesso sarà di durata inferiore rispetto agli altri ammortizzatori sociali.