L’Italia, come ci ricorda solennemente la nostra Costituzione all’articolo 1, è una Repubblica fondata sul lavoro. È, quindi, comprensibile che un’ambiziosa riforma come quella del mercato del lavoro debba essere letta assieme alle vicende che stanno attraversano il progetto, altrettanto grandioso, di Matteo Renzi di cambiare le regole su cui si fonda la nostra, per molti aspetti, sempre giovane e fragile democrazia repubblicana.
Particolarmente rilevante per chi si occupa di mercato del lavoro e occupazione sono le modifiche in via di definizione rispetto al nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni immaginato dal “Costituente” del 2015. Nel corso dell’esame del Disegno di legge in sede referente presso la commissione Affari Costituzionali della Camera, sono state approvate, infatti, alcune modifiche tese a riformulare specifiche materie di competenza legislativa. In particolare, nell’ambito della potestà statale è introdotta la nuova materia delle politiche attive del lavoro, non nominata nell’attuale testo dell’articolo117.
Ma cosa sono, quindi, queste politiche attive del lavoro di cui spesso si parla e la cui valorizzazione e modernizzazione rappresenta un obiettivo, ancora non raggiunto, di tutte le riforme del mercato del lavoro di almeno gli ultimi 15 anni? Queste, potremmo dire sinteticamente, rappresentano il complesso di tutte quelle misure volte a favorire e promuovere l’inserimento dei lavoratori nel tessuto produttivo.
Titolari storici di competenze in materia sono stati, nel nostro Paese, in primo luogo i Centri per l’impiego pubblici che operano, almeno tendenzialmente, a livello provinciale nel quadro dell’attività di programmazione definita dalle Regioni. Tuttavia, a partite in partire dalla cosiddetta “Legge Biagi”, il sistema del collocamento è stato progressivamente liberalizzato consentendo di operare non solo a soggetti pubblici, ma anche a soggetti privati autorizzati e/o accreditati, come le Agenzie per il lavoro, sulla scorta delle più moderne e rilevanti esperienze già realizzatesi in tante parti di Europa.
In questo quadro si muove così anche il Jobs Act renziano, che ha visto venire alla luce, alla fine dello scorso anno, i suoi primi schemi di decreti delegati di attuazione (ancora, è opportuno precisare, al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti chiamate a esprimere un parere).
La delega prevede, in particolare, con l’obiettivo di unificare la gestione delle politiche attive e passive, l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione con competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e Aspi, e un contestuale riordino degli enti operanti nel settore.
Il timore è che questa nuova agenzia rischi di diventare, secondo una pessima tradizione italica, l’ennesimo carrozzone con tutte le sue regine, i suoi fanti e i suoi re, come ci ricorda lo Zero nazionale.
La speranza è, tuttavia, che, anche grazie alla ri-centralizzazione di queste funzioni strategiche, la costituenda Agenzia, pur rispettando le specificità dei territori e dei diversi tessuti produttivi, ci sorprenda e riesca, finalmente, a valorizzare adeguatamente, in un’ottica cooperativa e sussidiaria, il ruolo dei servizi per l’impiego sia pubblici che privati che operano, ogni giorno, con professionalità e competenza a favore dei lavoratori e delle imprese del nostro Paese.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com