2015 Due proposte per riformare le pensioni. Da un lato c’è quella dell’ex ministro del Welfare, Cesare Damiano, che ha avanzato la cosiddetta quota 100, in base a cui per andare in pensione basterebbero 60 anni di età e 40 di contributi, o 61 anni di età e 39 di contributi, o 62 e 38 e così via. Dall’altra c’è la proposta di estendere l’Opzione Donna, che ha consentito di andare in pensione anticipata alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2014 hanno compiuto 60 anni e maturato 37 anni di contributi. Anche se la tendenza generale del sistema pensionistico introdotta con la riforma Fornero prevede innalzamenti progressivi dell’età in cui si va in pensione, fino ad arrivare all’obiettivo di 70 anni di età. Ne abbiamo parlato con Nicola Salerno, direttore del Centro Studi Reforming.
Le pensioni sono sempre più un campo aperto in cui si confrontano le proposte più disparate. Perché?
Le urgenze di finanza pubblica hanno acuito il confronto tra due esigenze che sono entrambe corrette. Da un lato c’è l’esigenza di allungare le carriere, e quindi posticipare l’ingresso in pensione sia per fare maturare assegni più congrui, sia per contenere le uscite di cassa e consolidare il bilancio pubblico in un momento in cui le finanze statali sono in difficoltà. Dall’altra, visti gli altissimi tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, c’è l’esigenza di favorire il ricambio generazionale incentivando l’uscita dal lavoro di chi lo desidera o non si sente più in forze nell’ottica di una naturale staffetta. Giunti al quinto anno di crisi, il contrasto tra questi due obiettivi è diventato più violento.
Che cosa ne pensa delle nuove proposte presentate recentemente?
La proposta della soglia avanzata da Cesare Damiano e l’estensione al 2015 e 2016 dell’Opzione Donna non solo alle lavoratrici ma a tutti quanti sono nel dibattito da molto tempo. Stiamo ruotando intorno a queste soluzioni già da un po’. Si tenta di ridare flessibilità alle soglie di pensionamento, ma nel frattempo si ha anche timore che possano poi venire fuori delle sorprese dal punto di vista della cassa.
In che senso?
Mi domando se siano stati fatti i conti puntuali su quali siano le conseguenze di queste opzioni e di che cosa possa succedere nell’immediato, nel breve e nel lungo periodo. Per minimizzare gli errori o le sorprese, ogni proposta deve essere accompagnata ora più che mai da conti puntuali su quello che succede. Dobbiamo sapere esattamente quali sarebbero le persone che non potrebbero andare in pensione prima dell’intervento, di quanto aumenterebbero i possibili “pensionandi”, quali sono gli effetti sulla cassa e quanti posti eventualmente si libererebbero nel turnover giovani-anziani.
Tra queste proposte lei quale preferisce?
Valuto positivamente l’estensione dell’Opzione Donna, perché consente un pensionamento più rapido, ma a condizione del ricalcolo integrale contributivo. Si tratta di una velocizzazione dell’entrata a regime del sistema delle regole contributive nazionali. Quindi non può che far bene, perché da sempre si sta cercando di accorciare la fase di passaggio a regime della riforma Dini. Un’opzione di questo genere equivarrebbe a dire: “Vi permettiamo un’uscita più rapida, allarghiamo un po’ i requisiti anagrafici e contributivi, ma a condizione che chi vuole andare in pensione prima accetti il ricalcolo contributivo integrale”.
Che cosa ne pensa invece delle soglie proposte da Damiano?
Equivarrebbe a rendere un po’ meno stringenti i requisiti della riforma Fornero, e quindi ad aggiungere un po’ di flessibilità in più. Anche se personalmente è una proposta che non mi piace. Invece che ragionare sulle soglie, che trovo un po’ barocche, sarebbe preferibile individuare un intervallo anagrafico di età all’interno del quale ripristinare il pensionamento flessibile. Quest’ultimo va reintrodotto con delle penalizzazioni per chi va in pensione agli inizi di questo intervallo e dei piccoli premi per chi posticipa l’uscita dal lavoro.
In generale stiamo andando verso l’innalzamento dell’età pensionabile?
La crescita graduale negli anni dell’età anagrafica per uscire dal mondo del lavoro è una conseguenza dell’aggancio dei requisiti di pensionamento ai progressi nella vita attesa. Non riguarderà quindi solo il futuro prossimo, ma ci accompagnerà d’ora in poi e che porterà con sé risultati più evidenti nei prossimi anni e in particolare nel medio-lungo periodo. È un legame che non va messo in discussione, qualunque riforma si faccia per ammorbidire i requisiti di pensionamento e renderli più compatibili con le difficoltà occupazionali del momento.
(Pietro Vernizzi)