Non c’è solo Marchionne. Certo, l’annuncio di 1500 assunzioni a Melfi (che useranno il contratto a tutele crescenti) è un buon avvio per la nuova legislazione del lavoro. Ascoltando le Agenzie per il lavoro hanno tutte registrato una ripresa di richieste di lavoratori da parte delle imprese e, molti, con lo stesso metodo di Melfi. Avvio con interinale per passare, appena possibile, al contratto introdotto dalla nuova legislazione sul lavoro.



Pesa certamente un’attesa per la riforma che aveva agito come freno per nuove assunzioni negli ultimi mesi dell’anno. Ma ciò che conta sottolineare non è tanto che siano nuovi posti di lavoro aggiuntivi. Importante è che saranno posti di lavoro stabili. Nonostante molti avvocati del lavoro continuino a voler fare gli economisti spiegando che è solo la ripresa della domanda che farà crescere il lavoro e che non è l’articolo 18 a frenare gli investimenti, ci pensa la realtà a indicare come una legislazione migliore, peraltro oggi solo sulla carta, crea posti di lavoro migliori. Migliori perché più stabili e con più tutele rispetto ai contratti di assunzione che sarebbero stati applicati precedentemente. Per questo ci auguriamo che le Commissioni parlamentari svolgano velocemente il proprio compito e che il governo proceda a pubblicare poi il testo sulla Gazzetta Ufficiale per avviare i primi provvedimenti del famoso Jobs Act.



Ricordiamo però che questo è solo uno, e forse non il principale, degli obiettivi che sono contenuti nei provvedimenti sul lavoro. Dare contratti più stabili e rendere programmabili i costi per eventuali licenziamenti era certamente necessario e utile anche perché vi sia un ritorno di investitori esteri in Italia. L’annuncio fatto a suo tempo dal governo aveva però anche altri obiettivi. Da un lato che nessuno venga lasciato solo quando affronta il bisogno di lavoro e inoltre una drastica semplificazione della legislazione del settore.

Quest’ultimo obiettivo parte con una base di elaborazione bipartisan fatta nel corso dell’ultimo anno da esperti del settore e ciò può diventare celermente una proposta per un nuovo codice semplificato del lavoro. Abbattuti alcuni totem ideologici non dovrebbe essere un’opera complicata, tanto più senza il freno di pregiudizi che hanno finora bloccato ogni elaborazione.



Non lasciare solo nessuno rischia invece di essere di nuovo un pasticcio tipico di un Paese dove i servizi alla persona rispondono più ai privilegi di chi deve fornirli invece che rispondere con efficienza ed efficacia ai bisogni cui sono destinati. Insieme al contratto a tutele crescenti era atteso anche il contratto di ricollocazione. Questo sarebbe stato l’avvio dei nuovi servizi al lavoro previsti nel Jobs Act con l’attivazione della Agenzia nazionale per l’occupazione.

Questa parte del decreto è stata spostata in un provvedimento che affronterà complessivamente il tema servizi al lavoro che non può, se vuole essere una scossa reale all’immobilismo attuale, essere scollegata dei nuovi contratti di inserimento e dall’avvio dei nuovi sistemi di sostegno al reddito in caso di disoccupazione. Il sistema delineato prevede che a regime chi perderà il lavoro riceverà, nell’ambito del contratto di ricollocazione, 24 mesi di sostegno al reddito e un voucher di valore variabile che finanzierà un percorso finalizzato alla ricollocazione. A farsi carico di definire il valore il voucher e il percorso di orientamento/formazione saranno i Centri per l’impiego pubblici e le Agenzie per il lavoro accreditate. L’Agenzia nazionale dovrebbe assicurare il coordinamento e la promozione assieme alle regioni.

Perché non succeda come per Garanzia Giovani, che non è ancora in grado di assicurare i servizi promessi, vorrei avanzare subito alcune osservazioni. Vanno fissati nazionalmente alcuni principi che devono valere su tutto il territorio contro il rischio di creare squilibri e ingiustizie nei servizi forniti e per non favorire fenomeni di “creaming”, cioè di aiuto solo a chi troverebbe comunque un inserimento lavorativo per le proprie capacità di occupabilità. Per questo non vi deve essere gerarchia fra attori pubblici e privati, ma tutti devono poter offrire gli stessi servizi. Dalla presa in carico, alla profilazione delle capacità, alla definizione dei servizi dedicati nel percorso personalizzato di rioccupazione abbiamo bisogno di un sistema non gerarchizzato ma fatto di competizione e collaborazione territoriale. A supporto, senza una base di costi standard dei servizi che permetta di riconoscere ai soggetti operativi la quota di servizi obbligatori erogati e la quota riconosciuta solo a risultato raggiunto.

L’Agenzia nazionale e quelle regionali hanno il compito di programmare gli interventi, definire i target secondo il peso di maggiore o minore occupabilità dei soggetti, valutare i risultati degli operatori e favorire processi di collaborazione. Anche al fine di rendere operativo lo spostamento di risorse dalle politiche passive e quelle attive sarebbe opportuno che entrambi i fondi fossero gestiti da un’unica Agenzia. In questo modo la sospensione di fondi a chi non partecipa attivamente al programma personalizzato sarebbe più semplice e sarebbe inoltre facilitata l’erogazione di incentivi alle imprese finanziato dai risparmi ottenuti da inserimenti lavorativi operati in tempi brevi.

L’entrata in vigore di un nuovo sistema di servizi al lavoro e l’apertura del riordino complessivo dei contratti di lavoro segnerebbe in via definitiva il risultato più importante del Jobs Act, che è certo legislativo, ma vuole essere soprattutto il più efficace intervento per “rimettere in moto” il lavoro nel nostro Paese. E rimettere in moto significa comunicare ai singoli che i loro sforzi non saranno vanificati da pesanti burocrazie, né da potentati corporativi. 

Chi vuole fare impresa, come chi vuole valorizzare nel lavoro i propri talenti, deve trovare nella nuova legislazione un sostegno reale. Se non scatta questa nuova assunzione di responsabilità, o se il risultato sarà un nuovo carrozzone pubblico, avremo di nuovo un Paese immobile, riformato in qualche norma ma incapace di rimettersi all’opera.

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