Tra le ipotesi che circolano di riforma dei Centri per l’impiego, si sta facendo strada, non saprei quanto tra il Governo, la seguente soluzione: riposizionare le deleghe di politica attiva dalle regioni allo Stato, costituire una sola e unica Agenzia nazionale per il lavoro, con conseguente razionalizzazione delle risorse, e successivamente riorganizzare parte delle attuali risorse oggi dedicate agli ammortizzatori sociali al potenziamento dei Centri pubblici per l’impiego.



La proposta è perfetta per un programma di riforma di almeno vent’anni fa: oggi non solo è antiquata, ma completamente sbagliata. Vediamo con ordine perché questa strada non va bene.

Innanzitutto, l’idea di ri-centralizzare (fino al 1997 – Bassanini per intenderci – i Centri di collocamento erano coordinati direttamente dal ministero del Lavoro) a livello statale le competenze e la gestione delle politiche attive va in contro-tendenza rispetto a quanto fatto nella maggioranza dei paesi europei; inoltre, secondo le analisi della Commissione europea, il “decentramento amministrativo” è giustificato per una migliore gestione della pianificazione territoriale. A ciò si aggiunge che la “disastrosa” gestione in alcune regioni italiane delle politiche attive del lavoro (su tutte purtroppo mi tocca ricordare il fallimentare caso siciliano) non va attribuita al modello specifico di governance, ma al modello di controllo e sanzione, che letteralmente nel nostro Paese non esiste.



La nuova Agenzia nazionale per il lavoro, struttura nazionale che “ingloba” al suo interno una serie di agenzie e strutture, presenta sotto tutti i punti di vista il rischio di creare un “carrozzone” pubblico dalle immani dimensioni. Infatti, l’obiettivo “teorico” sarebbe quello di realizzare economie di scala e razionalizzazione delle risorse, ma su questo punto non si conosce il numero esatto di esuberi, ammesso che c’è ne siano.

A questo aggiungo, l’assurda idea che le politiche del lavoro in Val Camonica o in provincia di Reggio Calabria siano decise, pianificate e realizzate dallo stesso dirigente di Roma comporta il rischio di creare decine di programmi “clone” standardizzati, la metà dei quali non saranno adeguati al contesto.



Oggi ItaliaLavoro (agenzia del ministero del Lavoro) realizza già attività mirate sul territorio: sarebbe opportuno pubblicare le valutazioni d’impatto di queste misure, per capire se l’idea di una struttura nazionale che gestisca ed eroghi i programmi a livello locale abbia senso.

Senza dimenticare come sia opportuno che la nomina del Direttore generale di questa nuova Agenzia sia il più possibile svincolata da scelte politiche, ma piuttosto venga selezionato tra una rosa di candidati di reputazione internazionale e soprattutto è fondamentale che tale direttore sia vincolato al raggiungimento di determinati obiettivi.

Altra questione rilevante riguarda il potenziamento dei Centri per l’impiego, i quali sappiamo hanno pochissime risorse e ridotto personale rispetto ad altri paesi europei. Il potenziamento dei servizi per l’impiego ritengo rappresenti un tema centrale che va certamente affrontato, ma chi scrive non approva l’idea che questi soldi vadano a rafforzare i servizi dell’attore pubblico.

Ritengo che gli attuali Centri per l’impiego, anche rafforzati, non siano in grado di stare sul mercato, questo perché negli ultimi anni la mediazione è diventata un campo complesso, sempre più articolato, internazionale e specifico. In alcuni ambiti, sono necessari interi dipartimenti e consolidate esperienze, che difficilmente l’ingresso di due/tre risorse, anche preparate, permette di raggiungere. No, meglio “esternalizzare” completamente la parte di mediazione attraverso la delega a vari attori privati (Agenzie per il lavoro, Cooperative sociali, Sindacati, Servizi al lavoro -Universitari, ecc.), verso un modello di quasi-mercato oggi presente in Olanda. 

Questo non esclude la costituzione da parte del pubblico di Agenzie speciali come le Afol presenti in Provincia di Milano (l’importante è che siano in grado di rimanere sul mercato grazie alla qualità dei loro servizi). Tutti gli attori devono essere rigorosamente valutati tramite un rating, analogamente a quanto accade oggi in Lombardia, per scongiurare comportamenti opportunistici.

La visione deve essere cooperativa tra Stato e Regione: il primo controlla e sanziona le seconde, che però sono libere di svolgere il compito in totale autonomia e sono accompagnate da un rafforzamento della partnership tra pubblico/privato con la garanzia di rating legati al risultato.

Tale percorso, che vede ben distinti controllo, gestione ed erogazione, rappresenta a mio giudizio una visione certamente migliore rispetto all’idea di creare un carrozzone pubblico con sede a Roma che gestisce e coordina tutto il piano di politiche attive del lavoro. Spero veramente che il Governo e suoi tecnici siano orientati verso la prima soluzione, o almeno una versione ibrida di questa: l’importante è evitare la seconda.