E’ “inammissibile” il referendum proposto dalla Lega Nord per abolire la riforma Fornero. Lo ha stabilito oggi la Corte Costituzionale, sollevando un mare di polemiche. Non verrà dunque modificata la legge n. 92 del 28 giugno 2012, la cosiddetta riforma delle pensioni Fornero che venne votata dalla coalizione a sostegno del governo Monti composta da Pd, Pdl, Udc e Futuro e Libertà. Contenuta nel decreto “salva Italia”, la riforma voluta dall’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero si prefiggeva l’obiettivo di “realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”. I risultati, a detta di molti, sono stati tutt’altro che positivi. Una delle maggiori novità introdotte dalla riforma riguarda il lavoro a tempo determinato, diventato più costoso per i datori di lavoro perché abbinato a un ulteriore contributo dell’1,4% per finanziare l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), cioè i nuovi ammortizzatori sociali entrati in vigore a partire dal primo gennaio 2013 a sostituzione delle precedenti indennità di mobilità e di disoccupazione.



La riforma Fornero è intervenuta anche sull’articolo 18, eliminando il reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici, ma ha puntato anche sull’apprendistato come strada d’accesso principale al mercato del lavoro per i giovani: il contratto deve essere almeno di sei mesi e i datori di lavoro sono obbligati ad assumere almeno la metà degli apprendisti (il 30% fino al 2015) avuti nell’arco di 36 mesi.



Una delle regole certamente più note della riforma è il graduale innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione. Per quanto riguarda la pensione di anzianità, dal primo gennaio 2016 non basteranno più 66 anni e tre mesi di età per i lavoratori autonomi o dipendenti maschi, sia del pubblico che del privato, che necessiteranno di 66 anni e sette mesi. Lo stesso vale per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, mentre per quelle del privato si passerà da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi nel 2016. Le lavoratrici autonome passeranno dai 64 anni e 9 mesi di adesso ai 66 anni e un mese a partire dal primo gennaio 2016. Riguardo invece la pensione anticipata, i 40 anni di contributi non bastano più: dal primo gennaio 2014 al 31 dicembre 2015 l’anzianità contributiva per gli uomini dovrà essere di 42 anni e 6 mesi, per le donne di 41 anni e 6 mesi, mentre dal 2016 il requisito salirà a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a 41 anni e dieci mesi per le donne. Lo spostamento di età ha determinato un numero molto elevato di “esodati”, cioè coloro che hanno lasciato il lavoro entro il 31 dicembre 2011 sperando di poter andare in pensione in pochi anni, ma che si sono ritrovati senza pensione e senza lavoro proprio per il cambio di requisiti introdotti dalla riforma.

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