È sempre più attuale il tema del futuro della contrattazione collettiva e della rappresentanza. Le Parti sociali stanno da tempo lavorando su un nuovo modello contrattuale e su un’intesa che determinerà i futuri nuovi assetti ed equilibri anche al loro interno, nella fattispecie tra le Confederazioni e le Federazioni. Non c’è dubbio che oggi più che mai, in un’ottica di crescita, è sempre più difficile individuare standard contrattuali e, anche, di modalità contrattuali. Al di là di evidenti diversità nel lavoro e nell’organizzazione del lavoro, non in tutti i settori c’è lo stesso livello di partecipazione, cosa che – naturalmente – incide sul risultato.
Per fare degli esempi, la partecipazione registrata sino a oggi nel settore della chimica ha prodotto i risultati migliori – per esempio, in termini di flessibilità, di innovazione e di competitività – che il sistema delle relazioni industriali è stato capace di produrre in Italia. Pensiamo, invece, alla metalmeccanica – settore a dire il vero un po’ ruspante in tutta Europa – ed è evidente quanto la conflittualità insita in questo settore non sia solamente problematica dal punto di vista della gestione dei rapporti, ma in relazione allo stesso risultato della negoziazione sindacale, vale a dire il contratto.
Gli effetti delle dinamiche inflattive stanno poi stressando le Parti anche perché in alcuni casi – come ricordato di recente su queste pagine – sono i lavoratori che devono restituire denari alle imprese. In poche parole, una situazione mai vista per effetto della grande crisi economica, che chiede oggi al sindacato di riproporsi e di riposizionarsi completamente all’interno del mercato e del sistema economico.
Il ruolo “politico” del sindacato sarà fortemente limitato anche perché, vien da chiedersi oggi quando gli interessi di lavoratori e imprese sono sempre più coincidenti, quale beneficio porti la tripartizione sindacale. Esiste forse una tripartizione del diritto del lavoro? È sempre più stringente il tema di una proposta sindacale vera, all’altezza della situazione. A questo proposito, lo stesso Pd – per anni legato al sindacato della Cgil – si è al momento piuttosto smarcato dall’organizzazione guidata da Susanna Camusso. E non c’è dubbio che questo smarcamento, se durerà, darà origine a un rapporto più interessante tra il sistema confederale e lo stesso Governo, cosa che a sua volta può dare benefici all’intero sistema economico.
Certamente le parti sono chiamate a una nuova proposta, senza la quale gli smarcamenti sono fini a sé stessi. Lo stesso Jobs Act, introducendo una soluzione della regolazione del rapporto di lavoro che indubbiamente promuoverà stabilità, segna un nuovo inizio.
Pare, tuttavia, che la Cgil continui a cercare di marcare non “sindacalmente” il centro del posizionamento sindacale, viste le recenti interviste che prima Susanna Camusso e poi Maurizio Landini hanno rilasciato a Il Corriere della Sera. Si tratta di interviste che contengono soprattutto messaggi indirizzati alla politica, e Camusso e Landini paiono piuttosto sintonizzati, forse quanto mai prima d’ora visto lo scontro con cui si è chiusa lo scorso anno la riconferma di Susanna Camusso alla guida del sindacato di Corso d’Italia.
Certo, non si può cambiare pelle da un giorno all’altro, ma la crescita passa anche attraverso una Cgil diversa, una Cgil meno preoccupata di mandare messaggi al Pd (sulle vicende di Berlusconi, sul rapporto Pd-Forza Italia, sul Patto del Nazareno, sull’elezione del Presidente della Repubblica, ecc.) e più attenta a formulare una nuova proposta. Il sindacato, in sintesi, non è un partito politico. In tutto questo hanno un ruolo importante anche Cisl e Uil: è certo che in presenza di una proposta forte saranno tutti costretti ad allinearsi. E chi primo arriva costringerà gli altri a inseguire.
In collaborazione con www.think-in.it