L’iniziativa del ministero della Pubblica amministrazione di spostare più di 1000 dipendenti pubblici (con priorità a quelli delle Province) agli uffici giudiziari ha dal mio punto di vista più difetti che pregi. Ha senz’altro il pregio della semplicità. In un solo colpo si trova sistemazione a dipendenti in uscita e si copre un “buco” da un’altra parte. Tutto bene quindi? Non proprio. Non funziona bene infatti per dare maggiore efficienza ai tribunali, non garantisce lo sviluppo e la valorizzazione dei dipendenti delle Province e non ha i requisiti minimi di equità.



Non garantisce efficienza perché non siamo ragionevolmente sicuri che le nuove risorse saranno le più adatte e motivate a ricoprire il ruolo. Non garantisce lo sviluppo delle persone perché chi ama occuparsi di edilizia scolastica o di strade non è detto che abbia competenze e motivazione per occuparsi del funzionamento della macchina giudiziaria. Non è un provvedimento equo perché non seleziona le persone per il loro talento, il loro impegno e i loro risultati, ma solo per il fatto di appartenere o meno a una categoria. Perché discriminare chi a oggi non lavora, chi lavora nel privato o chi lavora in altri uffici pubblici?



Mi sembra sensato in questo caso il commento della Cgil che si chiede perché non assumere i tirocinanti degli uffici giudiziari che hanno almeno il merito di essersi già formati nell’ambito giudiziario e che hanno probabilmente motivazione e passione per questo percorso.

Il provvedimento migliore sarebbe allora definire innanzitutto un’analisi dei fabbisogni degli uffici giudiziari per poi avviare un concorso pubblico, o meglio una procedura a evidenza pubblica, a cui fare partecipare chiunque abbia i requisiti e manifesti la motivazione a farlo. In questo modo si unirebbero maggiore efficienza e maggiore equità. Perché voler mettere in uno stesso “calderone” persone magari bravissime e motivatissime con altre che possono esserlo meno? Il mercato del lavoro odierno, soprattutto nel settore dei servizi, necessità di iniziativa, responsabilizzazione, passione. 



Questo messaggio deve passare “forte e chiaro” in modo che le persone si attivino mettendo del loro nelle loro scelte e attività e non rimangano passive ad attendere il sostegno di questo o quell’altro fattore esterno. Se ci fosse una procedura selettiva le persone assunte avrebbero la garanzia di essere scelte per i loro meriti e non perché appartenenti a una categoria. Questo fattore è molto importante anche per il proseguimento della loro carriera lavorativa.

C’è poi un ultimo punto da discutere e che riguarda tutte le prossime riorganizzazioni che nel settore privato o nel settore pubblico dovranno accadere nei prossimi anni. Siamo sicuri che lo Stato sappia fare bene il mestiere di selezionare e ricollocare il personale in esubero. Le regole del settore pubblico e le competenze permettono di fare bene questo mestiere?

Sul punto si attende la costituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione, che dovrebbe essere l’ente in grado di gestire al meglio tali questioni. Speriamo che la guida di questo ente verrà affidata facendo emergere le migliori pratiche del mercato privato e pubblico, ma rimane una questione di fondo che deve essere chiarita. Il lavoro deriva dalla motivazione, dall’impegno e dalle competenze di ognuno che vanno costruite e sviluppate quotidianamente. Il peso del fabbisogno dello Stato per l’attività di politiche attive, se non è efficiente, rischia di essere un freno e non un incentivo alle libere iniziative delle persone, che sono il vero motore della ripresa del Paese.