«L’unica logica del referendum contro la legge Fornero era quella di parlare alla pancia della gente. La soluzione non è andare in pensione prima, ma incentivare il part-time dopo i 55 anni in modo da creare posti di lavoro per i giovani». Lo afferma Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università di Milano-Bicocca, dopo che la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile la proposta della Lega nord di tenere un referendum contro la riforma delle pensioni targata Fornero.



Come valuta questa sentenza della Consulta?

La Corte costituzionale ha il dovere di emettere un giudizio di legittimità sulle varie proposte di referendum. Non mi sembra che ci sia stato alcun abuso di potere, né che sia stato negato alcun diritto acquisito dai cittadini. Certo si entra all’interno di scelte discrezionali. Bisognerà leggere la sentenza per capirne le vere motivazioni, ma ritengo che rientri nelle normali prerogative della Consulta. Da un punto di vista formale non vi vedo nulla di strano, poi sul merito bisognerà discuterne.



La legge Fornero, secondo lei, necessita di modifiche?

La riforma Fornero è un’ottima legge, e rende la nostra attuale normativa sulle pensioni una delle più avanzate a livello europeo. Il fatto che per ritirarsi dal lavoro siano necessari 67 anni di età o 38 anni di contributi, è quanto avviene nella maggior parte dei paesi occidentali. Da questo punto di vista prima l’Italia era arretrata, in un mondo dove l’avanzamento dell’aspettativa di vita procede a ritmi molto sostenuti.

Che cosa risponde a chi dice che la legge Fornero distrugge il nostro welfare?

Il welfare europeo è stato frutto di una normativa che nasce nel Dopoguerra, in un contesto demografico dove l’età media era molto più bassa e soprattutto l’aspettativa di vita alla nascita era pari a 65 anni. In 40 anni abbiamo rubato alla morte 25 anni di vita. Un fatto straordinario, perché è lo stesso avanzamento avvenuto dal neolitico alla Prima guerra mondiale, ma questo ha rimesso profondamente in discussione il rapporto tra età lavorativa e pensione.



In che modo?

Negli anni ’40 le persone in media morivano subito dopo essere andate in pensione, adesso si vive anche fino a 80, 90 o 100 anni. La riforma Fornero non è dunque sostanzialmente diversa da quelle approvate o in corso di approvazione in altri paesi tra cui la Francia. La proposta della Lega nord di indire un referendum faceva molto leva sulla pancia della gente, ma non era una priorità per il Paese.

Come è possibile conciliare il turn-over generazionale con l’esigenza di andare in pensione più tardi?

Con la tecnologia e lo sviluppo tecnico il lavoro complessivo sta diminuendo. Evidentemente quindi un po’ di lavoro va ridistribuito, soprattutto le mansioni più ripetitive come nelle banche o nelle poste, e che non sono legate a particolari competenze come quelle di medici e scienziati.

 

Qual è quindi la sua proposta?

Dobbiamo fare in modo che ci sia un po’ di generosità intergenerazionale, incentivando a il lavoro part-time dopo i 55 anni e assumendo più giovani. Questo farebbe parte di una civiltà solidale e matura, e per promuoverla occorre che il part-time sia reso meno costoso. Con le attuali leggi l’onere per chi passa verso il part-time è molto forte. Occorrerebbe una minore rigidità, facendo lavorare qualche ora in meno i lavoratori più maturi e creando così lavoro per i giovani. Lo vedo come conseguenza inevitabile del principio di fraternità.

 

(Pietro Vernizzi)