«I punti cardine di una profonda revisione della riforma delle pensioni sono la flessibilità in uscita e la previdenza complementare. L’esatto contrario di quello che ha fatto il governo Renzi». Lo afferma Domenico Proietti, segretario confederale della Uil con delega alle Politiche fiscali e previdenziali. La Legge di stabilità ha abolito le penalizzazioni previste dalla legge Fornero per chi si ritira dal lavoro prima dei 62 anni di età, purché si verifichino tre condizioni: il versamento dei contributi (42 anni e mezzo gli uomini, 41 anni e mezzo le donne), un assegno pensionistico inferiore ai 3.500 euro lordi, il fatto di ritirarsi dal lavoro tra il 31 dicembre 2014 e il 31 dicembre 2017.
Che cosa ne pensa dell’abolizione delle penalizzazioni prevista dalla manovra?
È un fatto positivo, però sarebbe opportuno estenderlo a tutte le persone che ne sono escluse.
Rispetto alla riforma Fornero è un passo avanti?
È un piccolo passo avanti, il problema però è che è l’unico. Per quello che c’è scritto e soprattutto per quello che non c’è scritto, la Legge di stabilità è un’occasione persa per affrontare in modo serio una revisione del provvedimento Fornero.
Che cosa manca nella Legge di stabilità per quanto riguarda la previdenza?
La questione fondamentale è la mancata introduzione della flessibilità in uscita. Il ministro Giuliano Poletti aveva detto più volte che avrebbe presentato questo provvedimento e alla fine invece non ha fatto nessuna proposta in questa direzione. Continuiamo a ritenere che sarebbe utile introdurre un range tra 62 e 70 anni all’interno del quale scegliere come e quando andare in pensione anche in base allo stato di salute e alla tipologia di lavoro che si svolge.
La flessibilità va attuata senza penalizzazioni?
Non va introdotta alcuna penalizzazione ulteriore a quella che è già implicita nell’attuale sistema contributivo. Se uno va in pensione prima ha versato meno contributi e prende una pensione più bassa. Se invece uno è nelle condizioni che gli consentono di rimanere al lavoro per più anni, aumenterà anche la quantità della sua pensione. Non deve intervenire quindi una penalizzazione ulteriore.
Basta la flessibilità a risolvere tutti i problemi?
Sempre dal punto di vista previdenziale, va attuato un taglio delle tasse per milioni di pensionati italiani, la metà dei quali percepisce un assegno al di sotto dei mille euro.
Che cosa ne pensa dell’aumento della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione?
È una scelta sbagliatissima, perché dopo avere fatto cassa sulle pensioni ordinarie la si fa anche sul sistema complementare. In questo modo si dà un’indicazione di incertezza normativa, quando invece avremmo bisogno di rassicurare i lavoratori per indurli ad aderire alla previdenza complementare che è indispensabile per costruire una pensione per il futuro. Rappresenta inoltre un aumento delle tasse che il governo si vanta di voler ridurre.
Quali sono le conseguenze di questo aumento della tassazione?
In questo modo si disincentivano i lavoratori ad aderire alla previdenza complementare, anche perché se non si dà stabilità alle norme sulla previdenza, i lavoratori che adesso hanno fatto questa cosa, tra sei mesi ne faranno un’altra, e quindi c’è incertezza. Se sommiamo anche la possibilità del Tfr in busta paga, ci troviamo di fronte a un quadro particolarmente confuso. Dobbiamo dare certezze, soprattutto perché la previdenza complementare negli anni ha dato dei risultati straordinari dal punto di vista dei rendimenti. Pur in presenza di una crisi dei mercati finanziari, abbiamo registrato tassi di rendimento due o tre volte superiori alla rivalutazione del Tfr lasciato in azienda.
(Pietro Vernizzi)