Non solo attacchi, Matteo Renzi riceve anche qualche sostegno per la sua scelta di non inserire la flessibilità pensionistica nella Legge di stabilità. Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia, nonché segretario politico di Scelta civica, condivide in pieno la decisione del Premier, segno di responsabilità. Per Zanetti, prima di intervenire sulle pensioni bisogna infatti aver chiaro il quadro “non solo degli impatti sui bilanci dei prossimi tre anni anni, ma anche e soprattutto su quelli di qui a dieci, vent’anni”.
Non sono certo lusinghiere le parole che Paolo Ferrero e Roberta Fantozzi rivolgono a Matteo Renzi, definito “un ciarlatano totale”. Il Segretario nazionale e il responsabile nazionale lavoro di Rifondazione Comunista accusano il Premier di non essere riuscito ad approvare la flessibilità pensionistica con la scusa della mancanza di risorse. In realtà, spiegano i due, i soldi ci sono, “basta prenderli a quelli che hanno ville e castelli”. Per Ferrero e Fantozzi resta il fatto che l’unica vera riforma previdenziale sarebbe l’abolizione della legge Fornero, che aiuterebbe anche i giovani in cerca di lavoro.
Sul rinvio della flessibilità pensionistica annunciato da Renzi interviene anche Maristella Gelmini, che rileva come “quando si va sul concreto il Governo fa marcia indietro”. Per la parlamentare di Forza Italia, la colpa più grave dell’esecutivo è quella di aver illuso moltissimi italiani su una riforma della legge Fornero che appare improcrastinabile. “È l’ennesima beffa di un Governo che vive ormai solo di annunci”, ha aggiunto la Gelmini.
Matteo Renzi è tornato questa mattina a parlare di pensioni. In diretta a Rtl 102.5 ha infatti spiegato di essere pronto ad approvare la flessibilità entro pochi mesi, ma non in modo raffazzonato. Il Premier ha fatto capire che ci dovranno essere delle penalizzazioni per coloro che vorranno accedere anticipatamente alla quiescenza e che le difficoltà che lo hanno spinto a non inserire il provvedimento in Legge di stabilità sono soprattutto nello stabilire la giusta percentuale di decurtazione. Renzi ha detto che parlerà del tema non solo con Boeri e Poletti, ma che intende ascoltare “quella fascia di persone in procinto di andare in pensione”.
Mentre il Governo Renzi ha deciso di rinviare la flessibilità al 2016, scatenando le proteste dei sindacati, Alberto Brambilla, già sottosegretario al Welfare, dalle pagine del CorrierEconomia ha illustrato un percorso per introdurre la pensione anticipata, sul modello della proposta Damiano-Baretta, a partire da 63 anni (o 37,5 di contributi), con una penalizzazione massima del 12-15%. A ciò bisognerebbe aggiungere l’abolizione dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva all’aspettativa di vita (così da permettere ai lavoratori precoci di andare in pensione con 41 anni di contributi). Brambilla vorrebbe prevedere per le donne anche uno “sconto” di 9 mesi per ogni figlio avuto.
Una riforma corposa, che si potrebbe finanziare con interventi “minimi” validi solo per i prossimi 5 anni: indicizzazione delle pensioni al 90%; un contributo di solidarietà crescente (per le prestazioni anche assistenziali generate dal sistema retributivo) a partire dallo 0,5% per le pensioni più basse. Per Brambilla dopo i primi cinque anni, il sistema sarebbe già in una situazione di equilibrio e in grado di autofinanziarsi. Del resto si era molto ripetuto nelle scorse settimane il fatto che la flessibilità avrebbe comportato risparmi a medio-lungo termine (assegni più bassi), ma costi più elevati nel breve (pensioni da erogare prima). Con questi provvedimenti, i costi iniziali verrebbero quindi “azzerati”.