Ha fatto discutere, in questi giorni, un articolo di Luca Ricolfi apparso sulle pagine de Il Sole 24 Ore sul sindacato e sulla rappresentanza. Secondo Ricolfi, il sindacato italiano negli anni ’70 aveva un enorme prestigio derivante dalla sua profonda capacità di rappresentare l’interesse nazionale; oggi, invece, il sindacato non interpreta l’interesse generale e la sua azione si limita alla tutela dei propri iscritti.



Chi scrive da tempo sostiene la stessa cosa: il sindacato, non essendo stato capace di affrontare fino in fondo le trasformazioni del lavoro, si limita alla tutela dei propri iscritti che si traduce nella difesa a oltranza di interessi precostituiti. Si tratta di un problema di rappresentanza: non affrontare le trasformazioni del lavoro significa non intercettare giovani, perdere iscritti ed essere sempre più i paladini del lavoro pubblico e dei pensionati, ovvero dello zoccolo duro degli iscritti.



Se il sindacato deve tutelare i propri iscritti o gli interessi generali è argomento di discussione: viene da sé che un sindacato moderno, capace di essere soggetto promotore del cambiamento, tutela allo stesso tempo i propri iscritti e gli interessi generali. Va detto, per onestà intellettuale, che il problema della rappresentanza riguarda anche la parte datoriale.

Il futuro della rappresentanza resta il problema di fondo: chi rappresenta oggi il sindacato? Chi deve rappresentare per riscoprire la sua missione e porsi come soggetto attivo per la trasformazione sociale? Certo poi non mancano aspetti più concreti, come ricorda lo stesso Ricolfi: oggi resta di fondamentale importanza individuare nuovi assetti e nuove modalità retributive. E qui, anche lo Stato deve fare la sua parte: è indispensabile ridurre il gettito fiscale sulle imprese.



Come ricordavamo in un recente articolo, è proprio questo il punto principale su cui Cgil, Cisl, Uil e Confindustria non sono riuscite a trovare un accordo: i sindacati naturalmente vorrebbero più soldi dalle imprese, che però – stante la dinamica inflattiva impazzita degli ultimi anni – avanzano crediti dai lavoratori. Confindustria propone quindi di distribuire ricchezza in funzione della produttività; la Cisl è in linea con questa posizione, la Cgil parla di riduzione dei salari, la Uil in un primo momento pareva d’accordo, ma ora è partita all’attacco degli industriali.

Un accordo generale non ci sarà, almeno per il momento; anche perché Cgil e Uil vogliono il rinnovo dei contratti di settore. A proposito di settori e di federazioni, il mondo del sindacato è un mondo complesso, dove coesistono storie diverse e culture eterogenee. Storie, culture, ma anche capacità. Ci sono settori che si sono sempre contraddistinti per ottima partecipazione delle parti e per innovazioni individuate: vedi i chimici, ma anche gli alimentaristi e gli edili.

Ora che Squinzi ha lasciato via libera alle categorie, si attende qualche rinnovo di settore. Sono sempre questi, in particolare i chimici, a fare da apripista e a individuare soluzioni che poi vengono spesso accolte e mutuate dal sistema. Sarà così anche questa volta?

 

Twitter sabella_thinkin

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