«Il governo continua a rimandare l’intervento sulla flessibilità pensionistica perché non vuole fare nulla. Una scelta inspiegabile, perché nel lungo periodo consentirebbe un risparmio in termini di bilancio». È il commento di Walter Rizzetto, deputato del gruppo Alternativa libera formato da fuoriusciti dall’M5S e vicepresidente della commissione Lavoro. Martedì parlando della flessibilità pensionistica il premier Matteo Renzi aveva detto: “Sono pronto a chiuderla nel giro di pochi mesi ma non in modo raffazzonato. Sono molto preoccupato di non fare pasticci come in passato: faremo partire con l’Inps un grande lavoro di coinvolgimento degli interessati”.



Onorevole Rizzetto, l’intervento sulle pensioni è spostato di pochi mesi o rinviato a data da destinarsi? Ritengo che il governo continui a fare melina e a rimandare un provvedimento che evidentemente non vuole portare a termine. I numeri, i fondi e le proposte di legge ci sono. In commissione Lavoro alla Camera sono stati presentati almeno sei ddl. Abbiamo ragionato a fondo su numeri e conti. La flessibilità in uscita inizialmente sarebbe un peso per le casse dello Stato. Una volta però raggiunta una quota “zero”, cioè un’età di 66 anni, produrrebbe dei risparmi anche per il bilancio.



A questo punto che cosa accadrà? Sicuramente la flessibilità non sarà introdotta nei primi mesi del prossimo anno, ma neanche entro la legge di stabilità 2017. È una cosa che il governo non vuole fare, dimostrando di fatto che non intende cambiare la legge Fornero.

Il nodo sembra essere quello delle penalizzazioni. Secondo lei come va sciolto? L’intera commissione Lavoro della Camera ha trovato un accordo sulla proposta del presidente Cesare Damiano. Sulla base di quest’ultima si inizia ad andare in pensione a 62 anni con delle decurtazioni rispetto all’assegno mensile. Dai 62 ai 66 anni ci sarebbero delle uscite per quanto riguarda le casse dello Stato, ma considerata l’aspettativa di vita che arriva agli 82/83 anni ci sarebbero quasi altri 20 anni di risparmi. È chiaro che è una misura che per i primi anni costa.



Quanto verrebbe a costare? L’Inps ha quantificato questa misura in quattro-sei miliardi all’anno per i prossimi 20 anni. Ma costavano anche gli 80 euro, e lo stesso vale per l’Imu e lo sconto sul canone Rai. La buona politica mette le risorse giuste nel posto giusto e al momento giusto. Se Renzi pensa che sia più giusto togliere l’Imu anziché intervenire sulle pensioni, questa è una sua scelta. Ma resta il fatto che nell’arco di 20-25 anni con la flessibilità si produrrebbero dei risparmi di bilancio.

La flessibilità consentirebbe anche un ricambio generazionale?

Sì. Chi nell’esecutivo si occupa di questi temi non riesce a comprendere un dato di fatto fondamentale: una flessibilità in uscita corrisponderebbe a una flessibilità in entrata. Se le persone vanno in pensione qualche anno prima con una decurtazione sostenibile dell’assegno pensionistico mensile, è altrettanto evidente che darebbero spazio ai più giovani i quali soffrono ancora di tassi di disoccupazione piuttosto alti. Per ogni persona che va in pensione prima, ce n’è un’altra che trova lavoro.

 

Con quali risultati dal punto di vista del bilancio?

Se c’è un numero più elevato di occupati, e quindi di persone che vanno a lavorare, anche questo crea un gettito aggiuntivo. Questa è una copertura implicita rispetto allo stesso intervento sulle pensioni.

 

Il rinvio sulla flessibilità riapre anche la questione dei lavoratori precoci?

Proprio così. I lavoratori precoci, che dopo 41 anni di contributi dovrebbero avere la possibilità di andare in pensione, senza flessibilità non potranno farlo. Nel corso dell’audizione alla Camera dei Deputati il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, era stato chiaro: la sua convinzione è che l’età pensionabile vada addirittura alzata. Io ho contestato questa sua affermazione, ma non ho ricevuto risposte sufficientemente esaurienti.

 

(Pietro Vernizzi)