“Siamo disponibili a esaminare anche le ipotesi di part time per gli over 63, pur sapendo che si tratta di una misura che non può essere considerata sostitutiva di un intervento strutturale sulla flessibilità”. Lo sottolinea Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione Lavoro della Camera ed ex ministro del Welfare, dopo l’approvazione della legge di stabilità da parte del consiglio dei ministri. Per l’onorevole Damiano “sulla settima salvaguardia degli esodati la commissione Lavoro della Camera ha definito un testo che prevede la tutela di altri 26.000 lavoratori, con l’impiego dei risparmi delle precedenti salvaguardie. Va risolta la questione relativa alla Opzione Donna, attraverso la correzione della circolare restrittiva dell’Inps”.



Che cosa ne pensa della scelta del governo di rinviare l’approvazione della flessibilità pensionistica? Il rinvio è un errore.

Perché? Perché è da molto tempo che noi ragioniamo sul tema delle pensioni, e quindi siamo pronti ad affrontarlo.

E’ davvero qualche mese in più o in meno a fare la differenza? Naturalmente è meglio arrivare alla soluzione avendo ben chiaro qual è il problema. Io, Parente e Gnecchi abbiamo avanzato una proposta supportata dai conti: andare in pensione con l’anticipo a 62 anni, avendo 35 anni di contributi e pagando una penalizzazione del 2% l’anno. Con questo sistema si può tranquillamente arrivare a una soluzione che non comporta alcun problema dal punto di vista dei costi. Si tratta infatti di una soluzione che sta perfettamente in equilibrio.



Sì, ma ci sarebbe un costo iniziale… Questo costo iniziale per i primi quattro anni sarebbe largamente compensato da un risparmio di circa 19 anni, se noi consideriamo l’aspettativa di vita. Nel momento in cui, anziché andare in pensione con gli attuali 66 anni e 3 mesi, lo si facesse con quattro anni d’anticipo a 62 anni e 3 mesi, dai 66 agli 85 anni (l’attuale aspettativa di vita) queste persone rappresenterebbero un risparmio. Quindi ritengo che sia un’operazione che si può assolutamente fare.

Se c’è questo risparmio, perché il governo non vuole la flessibilità? Perché il governo è ancora legato al punto di vista dei conti europei sulla base dei quali si ritengono più importanti i primi anni di costo anziché gli altri 19 anni di risparmio. Prendiamo un contribuente che, andando in pensione a 66 anni e 3 mesi, prenderebbe un assegno da 1.100 euro netti, mentre anticipando a 62 anni e 3 mesi con il contributivo scende a 1.000 euro netti.



Qual è la sua proposta per quanto riguarda questo lavoratore?

La mia proposta è che quel lavoratore non prenda più i 1.000 euro che gli spetterebbero, ma che detraendo l’8% (il 2% per ogni anno di anticipo) scenda a 920 euro. Quei 920 euro saranno erogati per sempre. Con un’aspettativa di vita di 85 anni, negli ultimi 19 anni quel lavoratore costituirà un risparmio. Facendo i conti alla fine si scopre che andiamo oltre il pareggio.

Eppure la flessibilità è ancora sospesa a un punto interrogativo. Che cosa ne sarà dei lavoratori precoci? Nella mia proposta è contenuta anche una risposta per quanto riguarda i lavoratori precoci. A prescindere dal sesso, ho previsto la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi. Quindi se non passa la proposta sulla flessibilità, queste persone non avranno la possibilità di utilizzare questa chance. Quando parliamo di un lavoratore precoce, dobbiamo sempre considerare qual è l’età e quali sono i contributi versati.

Attualmente che cosa prevede la legge? Se questo lavoratore ha versato 40 anni di contributi, dovrà aspettare soltanto 2 anni e 6 mesi. Per l’uomo che abbia maturato 42 anni e 6 mesi, la regola è che si va comunque in pensione. La nostra proposta ha come obiettivo quello di risolvere meglio la situazione. E’ chiaro che se è possibile migliorarla consentendo ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dal sesso, per una donna ci sarebbe un risparmio di sei mesi e per un uomo di un anno e sei mesi.

 

(Pietro Vernizzi)