«La flessibilità delle pensioni va introdotta soprattutto tenendo conto del fatto che non tutti i lavori sono uguali. Alcuni possono essere svolti fino in età avanzata, altri invece richiedono una particolare energia fisica». Lo afferma Titti Di Salvo, vicepresidente del gruppo Pd e membro della commissione Lavoro alla Camera dei deputati. I tecnici dell’Inps e dei ministeri di Lavoro ed Economia stanno preparando una soluzione da inserire nella Legge di stabilità per risolvere il problema degli esodati e aprire alla flessibilità in uscita.



È soddisfatta del modo in cui il governo intende affrontare il problema degli esodati? I problemi che riguardano gli esodati sono l’esito di provvedimenti presi nella legge di stabilità 2011. Dai dati Inps risulta che ci sono ancora 49mila esodati. Si tratta quindi di risolvere in modo definitivo e strutturale questo problema di fragilità sociale e di ingiustizia da riparare. Il governo si è impegnato a farlo in modo strutturale. Perché ciò avvenga occorre il lavoro congiunto dei ministeri dell’Economia e del Lavoro, in modo da chiudere un capitolo che era stato aperto con la legge Fornero.



Un’altra questione aperta è quella relativa a Opzione Donna. Come ritiene che vada affrontata? Opzione Donna consente l’uscita anticipata per le donne che hanno 35 anni di contributi e 57 di età. Questo strumento aveva una scadenza, ma è stato prorogato come previsto.

Come valutale risposte dei ministri Padoan e Poletti in tema di flessibilità in uscita? Il governo ha detto che la questione è sul tavolo, e che si intendono superare le rigidità previste dalla legge Fornero. Tra l’altro la flessibilità in uscita è insita nel sistema contributivo, il quale prevede che la somma dei contributi versati nella vita lavorativa sia suddivisa in base al momento di uscita dal lavoro e alla presunta aspettativa di vita. Più tardi uno va in pensione, minore è il tempo per cui dura la sua rendita.



È arrivato il momento di superare le “rigidità” della legge Fornero? La rigidità non solo è sbagliata dal punto di vista dell’impostazione, ma anche rispetto alla necessità di un ricambio generazionale. Per non parlare del fatto che non tutti i lavori sono uguali. Alcuni possono essere svolti fino a 60 anni, e sono compatibili con determinate energie fisiche e psichiche, mentre altri possono essere portati avanti per un tempo inferiore. Infine c’è un quarto motivo: occorre venire incontro alle donne che svolgono lavori di cura.

In che modo è possibile fare sì che la flessibilità sia sostenibile per lo Stato e appetibile per i lavoratori?

È evidente che una penalizzazione troppo elevata fa sì che scelga la flessibilità solo chi se lo può permettere, oppure chi non ne può assolutamente fare a meno. Da questo punto di vista in questa scelta si possono coinvolgere anche le imprese. Dall’altra ci sono proposte di legge che hanno modulato la penalizzazione sulla base del numero di anni che mancano alla maturazione del diritto.

 

A che punto siamo nel cammino verso la flessibilità?

Da un lato ci sono problemi aperti, quali esodati e Opzione Donna, che vanno risolti in modo definitivo. Dall’altra c’è un ragionamento che riguarda come rendere flessibile il sistema previdenziale. Ritengo che il governo abbia fatto bene a dire che questa prospettiva è sul tavolo.

 

Per lei qual è la soluzione migliore?

Una delle strade possibili è anche quella di coinvolgere le imprese. Anche se ritengo che la soluzione più giusta sia distinguere tra i lavori. Non tutte le professioni sono uguali, e quindi il fatto di svolgere un lavoro intellettuale rende sostenibile l’uscita in età avanzata, a differenza di altri lavori più faticosi dal punto di vista fisico. Il Mef ha realizzato uno studio sulle aspettative di vita in base alla professione. Ritengo che lo si debba assumere come punto di partenza.

 

(Pietro Vernizzi)