C’era un tempo dove si passavano interessantissime serate a discutere cos’era di destra e cos’era di sinistra. Poi venne Gaber (Giorgio per la precisione) e la domanda cadde nel baratro. Ora, non sempre per la verità ma ogni tanto, il tutto si riaggiorna sotto l’etichetta di “cos’è moderno e cos’è vecchio”. Poi a ciò qualche buontempone aggiunge anche: cos’è post-moderno? Vai a capire cosa significhi. Ma è un fatto che il tutto serve a classificare, fare opinione, discettare di posizioni vecchie, nuove, seminuove, quasi sempre però relative al sindacato.
Qual è, si chiedono ora opinionisti di vaglia e commentatori di vario spessore, la posizione che il sindacato italiano ha preso nei confronti della manovra del Governo? E, soprattutto, segna essa una discontinuità vero con un passato fatto di prese di distanze, polemiche anche aspre, incomprensioni quando non, addirittura, di fratture verticali e, almeno apparentemente, incomponibili tra chi, per i giornali della gran borghesia e filo governativi, avrebbe voluto tornare negli anni Sessanta (Cgil Cisl e Uil) e chi invece voleva guardare a un nuovo avvenire radioso e finalmente berlusconiano senza Berlusconi?
La Cgil non si è spostata granché dalle consuete affermazioni, seguita a ruota dalla Uil che ha ripercorso strade note, ma la Cisl? Il sindacato di via Po, in fondo, si è sempre distinto per un sano realismo, per il suo guardare alla situazione senza troppi preconcetti ideologici ma con il pragmatismo di chi sa che un accordo, anche piccolo, roba minima per citare Jannacci, è pur sempre meglio di nessun accordo. Apparentemente la posizione della Cisl è ambigua, ma essa ha pure una sua coerenza interna.
Nei giorni scorsi infatti, per bocca della segretaria nazionale ha affermato che “l’aver mantenuto la decontribuzione per i nuovi assunti è positivo”, ma, ha aggiunto Annamaria Furlan chiudendo l’Assemblea organizzativa della Cisl Veneta, nella manovra “mancano la flessibilità in uscita e le risorse per i contratti pubblici. Speriamo che nel testo inviato all’Europa sia prevista, in caso di part-time per i lavoratori anziani, la staffetta generazionale”.
Luci e ombre quindi. Ma sono poi ombre? Insomma, chiedere soldi per i contratti dei dipendenti pubblici è davvero “fuori tempo”? È un sindacato old style, grigio e statalista quello che reclama perché da quasi 7 anni per infermieri e impiegati, docenti e presidi, vigili (del fuoco e non), i salari non crescono? È davvero fuori dal tempo chiedere che i pensionati abbiano adeguata le loro pensioni?
La domanda dovrebbe però essere completata con qualche chiosa: in questi anni la crisi non ha inciso dappertutto allo stesso modo, ma ha colpito duro soprattutto su quella parte di società che una volta i sociologi anni Settanta avrebbero definito “piccola borghesia”, su quel livello medio e medio basso, per dirla in termini più moderni, che rappresenta il vero termometro della ricchezza di una nazione. Le grandi speculazioni hanno spostato i soldi, le tasche dei cittadini piangono, i pensionati hanno consumato i risparmi per sostenere le famiglie dei figli in Cassa integrazione o disoccupazione. Davvero perciò, nel momento in cui si fa una finanziaria a debito, come quella che il Governo si appresta a far approvare, è giusto dimenticarsi di questi italiani? Probabilmente no, ed è normale che a porre la questione sia proprio un sindacato che non fa barricate ideologiche, e che per questo è credibile. Moderno, infatti, non è il sindacato che si dimentica di quanto si deve ai dipendenti, ma quello che sa coniugare gli interessi di parte con gli interessi del tutto.
Altro punto: nel momento in cui si punta sul sostegno alle assunzioni nel momento in cui si lancia il Jobs Act e una ripresa ancora fragilina e deboluccia, perché le risorse destinate allo scopo sono state diminuite? Non sarebbe stato meglio, vista la situazione, che almeno per un altro anno si mantenessero le cifre della scorsa finanziaria? “Sulla decontribuzione per i nuovi assunti – ha aggiunto la Furlan – la polemica era se si trattava di disoccupati tout court o trasformazioni di precari e atipici”.
Appunto, su una questione che riguarda la pelle di tanta gente era stata montata l’ennesima polemica utile a riempire le serata di qualche televisione che a poco prezzo fa audience con urla e fumo. Ma in questo la Cisl non c’era entrata e ha sempre sottolineato che anche se i nuovi contratti “Jobs Act Style” fossero stati catalogati come “trasformazioni”, poco sarebbe cambiato, perché in ogni caso si trattava della fine di un precariato di fatto. Per il sindacato di via Po quella è stata, in ogni caso, la vittoria in una guerra lunga almeno un decennio contro la giungla contrattuale che si era andata accumulando nel sottobosco della politica economica.
In merito invece alle possibili evoluzioni del modello di “staffetta generazionale”, cioè allo scambio tra il lavoratore anziano e quello giovane, per la Cisl si tratta di vedere se rispetto alle agevolazioni per il part-time per i lavoratori 63enni sia o meno specificato che esse debbano servire alla staffetta generazionale. Se così non fosse allora non sarebbe strano che qualcuno lo giudicasse un provvedimento assolutamente limitativo: limitativo perché non serve a fare quel che dice di voler fare. Mica perché si vorrebbe tornare indietro!
La posizione, apparentemente bifronte, del sindacato di via Po ha dunque radici in un ragionamento che guarda allo sviluppo e al nuovo, ed esso ha buon gioco a sostenere che “la legge già si riferisce solo a un part-time per lavoratori molto anziani e che non ha nulla a che spartire con la flessibilità in uscita” e a sperare che invece questo provvedimento, moderno, flessibile, funzionale, aperto al futuro, sia inserito nel testo inviato all’Europa e che si apra la strada in caso di part-time per i lavoratori anziani, alla staffetta generazionale.
Quindi per riassumere: cos’è moderno, cos’è vecchio e cos’è antico? Boh, sarebbe la risposta più giusta di fronte a tanta questione. Perché se si vuol far sul serio, al netto della riflessione filosofica e linguistica, è importante che in Italia si dilegui quel po’ di confusione che ancora regna per apportare chiarezza su quel che i provvedimenti governativi nascondono al di là, e al di sotto, delle proclamazioni propagandistiche. Per costruire il futuro, mica per tornare al passato.