Alla presentazione della Legge di stabilità, come avveniva con le precedenti leggi Finanziarie, si è abituati a reazioni che si possono definire pavloviane. Da un lato le reazioni di “sinistra”: non c’è abbastanza redistribuzione del reddito, troppi tagli ai servizi essenziali, gli enti locali sono penalizzati e lo saranno anche gli strati sociali più poveri, mancano investimenti di qualità tipo ambiente e territorio. Dalla “destra” arrivavano invece: troppi poche riduzioni operate alla spesa pubblica, mancano i tagli fiscali a valore delle imprese, non si sostengono gli investimenti in ricerca e sviluppo e non c’è traccia delle liberalizzazioni a sostegno di impresa e lavoro. I principali sindacati riprendevano invece aspetti che potessero diventare oggetto di contrattazione, puntando perciò a riproporre la necessità di tornare alla concertazione, al confronto sui grandi temi di riforma per cui servono i grandi tavoli triangolari che hanno caratterizzato i telegiornali degli ultimi 20 anni.
Con la presentazione della Legge di stabilità di quest’anno, i commenti standard preconfezionati sono subito apparsi sui giornali, ma sono suonati stonati rispetto alla proposta avanzata dal Governo e solo nei giorni successivi ognuno ha badato a riposizionarsi cercando di ritrovare la propria collocazione. Ne è nato così un caso di prese di posizione che hanno riguardato più singoli provvedimenti che l’insieme della manovra. Due i temi di scandalo a “sinistra”: l’aumento del limite sull’uso del contante e l’abolizione delle tasse sulla prima casa. In tono minore la riforma sul canone Rai viene citata come ulteriore pasticcio, ma a “bassa voce” per la paura di dover dire cosa si pensa della TV di Stato.
Sui primi due temi i riflessi condizionati dal passato hanno però dato vita a prese di posizione assolutamente fuori dai confini di una politica di merito. Sostenere l’incostituzionalità delle decisioni per assenza di proporzionalità nella tassazione sui beni porterebbe qualunque studente a essere cacciato dall’esame in Scienza delle finanze. Non tener conto che la tassazione è possibile a fronte di una produzione di reddito e che trova un suo limite naturale nel non mettere in discussione la capacità di mantenere la produzione del reddito stesso è un altro tema che va riconosciuto.
Il tema dell’uso del contante non può essere ridotto a una divisione fra chi sta con gli evasori e i puristi. Serve un coordinamento con le norme europee che consentono soglie più alte delle nostre e un impegno reale a diffondere la moneta elettronica. Vietare il contante è una procedura sovietica pianificatoria, non uno strumento di lotta all’evasione.
Le stesse reazioni sindacali, almeno in prima battuta, sono apparse quelle del difensore che non sapendo dove rinviare la palla cerca il corner. Così si è lamentata l’assenza di provvedimenti destinati al Sud e per i soliti settori “qualitativamente” rilevanti. Qualcuno, dimenticando completamente le sue posizioni sulla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha protestato sul parziale rinnovo dei contributi a sostegno delle assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Cos’è successo per provocare tante reazioni così stonate? La proposta avanzata dal governo cambia un paradigma che era ormai diventato bipartisan. Ha riportato le decisioni operative come funzionali a un obiettivo non numerico ma politico. È perciò la discussione sulla politica che recupera un ruolo decisivo sui temi tecnici. Gli economisti che si sono poi esercitati sulla compatibilità delle variabili e delle previsioni relative alla stima di crescita del Pil, del rispetto dei parametri sul rapporto tra debito e reddito nazionale, sull’andamento del debito pubblico, ecc., hanno trovato discrasia, scommesse sull’andamento delle variabili più che previsioni econometriche. Ma hanno così messo in rilievo che la decisione viene da un giudizio politico in fondo molto semplice.
Il governo ritiene che il Paese ha subito in questi anni troppe indecisioni che hanno portato a un clima di sfiducia diffuso in tutti gli strati della popolazione. Oggi è prioritario restituire certezze e fiducia per rimettere in moto quegli “animal spirits” che possono portare a una ripresa della crescita e dello sviluppo. Senza questa ripresa di fiducia non c’è politica economica che possa rilanciare la funzione dello sviluppo. Ognuno attraverso la ripresa di consumi e investimenti contribuirà a dare un suo contributo alla ripresa del Pil, ma la restituzione di porzioni di libertà di fare sono determinanti per questo obiettivo politico.
Si dirà che per questo obiettivo gli strumenti previsti non bastano. Qualcuno sarà anche parziale o sbagliato. Ma il meglio, si sa, è nemico del bene. La manovra restituisce alla politica il suo ruolo centrale. Questo è già un risultato importante e sfida tutti ad alzare il livello del confronto.