La clausola di salvaguardia su Opzione donna, inserita nella Legge di stabilità, che prevede una limitazione sulle indicizzazioni delle pensioni non piace ad Annamaria Furlan. Il Segretario generale della Cisl fa in particolare notare che, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale relativa proprio al blocco delle rivalutazioni, si continuano a chiedere sacrifici ai pensionati. Questo, ha spiegato la Furlan, non può certo andare bene. Cesare Damiano continua a insistere sulle “modifiche” da apportare alle misure pensionistiche approvate con la Legge di stabilità. Non solo per verificare che tutti gli esodati vengano coperti dalla settima salvaguardia e per far sì che da Opzione donna non vengano escluse le donne nate nell’ultimo trimestre del 1958 o del 1957. Infatti, il Presidente della commissione Lavoro della Camera vuole anche che l’aumento della no tax area venga anticipato dal 2017 al 2016. Vedremo se nell’iter parlamentare della manovra riuscirà a far inserire tutte queste modifiche.
Tra le misure previdenziali della Legge di stabilità, c’è anche quella riguardante Opzione donna, che contiene una clausola di salvaguardia atta al reperire risorse nel caso venga esaurito il fondo stanziato. A quanto riportano oggi alcuni quotidiani, come Il Giornale, se la clausola scattasse andrebbe a colpire le indicizzazioni delle pensioni più alte. Quelle tra 4 e 5 volte il minimo riceveranno un’indicizzazione del 75% contro il 90% previsto ora, mentre quelle tra 5 e 6 volte il minimo avranno una rivalutazione del 50% contro il 75% attuale. Infine, gli assegni più alti di 6 volte il minimo avranno una rivalutazione del 45% e non del 75%. Non subiscono invece “decurtazioni” le pensioni inferiori a tre volte il minimo e quelle tra 3 e 4 volte il minimo vedranno persino aumentare la rivalutazione dal 90% al 95%.
Giuliano Poletti sarà ospite oggi di un videoforum sul sito di Repubblica, in cui parlerà di Jobs Act, pensioni e Legge di stabilità. L’appuntamento con il ministro del Lavoro è alle 17:00 e prima di allora verranno raccolte le domande da parte dei lettori. Il Comitato Opzione donna si è già mobilitato e invita le aderenti a scrivere a videoforum@repubblica.it per chiedere dei chiarimenti sull’aumento del requisito anagrafico per accedere a Opzione donna, che lascerebbe escluse le italiane nate nell’ultimo trimestre del 1958 e del 1957. Vedremo se Poletti confermerà questa misura o annuncerà delle modifiche.
Mentre si attendono novità su Opzione donna, flessibilità e settima salvaguardia degli esodati, Confprofessioni chiede un’altra misura di riforma delle pensioni. Gaetano Stella, Presidente dell’associazione, chiede uno sconto contributivo per i giovani che decidono di intraprendere un’attività di lavoro autonomo per i primi tre anni dall’avvio, anche sotto forma di reateizzazione.
A tenere banco in questi giorni nello scenario politico italiano è senza dubbio il dibattito relativo alla riforma delle pensioni. Il Governo per bocca dello stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi ha più volte ribadito l’intenzione di operare in ottica flessibilità per consentire a lavoratori che si trovano in determinate condizioni di accedere in anticipo al mondo pensionistico a fronte di una penalizzazione percentuale dell’importo mensile. Parole che per il momento non hanno trovato seguito nei fatti, tant’è che diversi esponenti delle cosiddette parti sociali hanno più volte manifestato un certo disagio per delle riforme che fanno fatica ad arrivare.
Tra questi c’è il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che recentemente ha annunciato un nuovo sciopero generale per il prossimo 21 novembre rinnovando la richiesta di cancellare di fatto la riforma Fornero riportando l’età pensionabile a 62 anni anche per dare nuovo slancio al lavoro per i più giovani. Lo stesso Landini ha anche sottolineato la necessità di prendere in considerazione delle tempistiche ad hoc per quei lavori definiti usuranti. Tuttavia le parole di Landini vanno in senso opposto rispetto a quanto detto dai tecnici del Mef che hanno proposti dei calcoli secondi i quali senza la riforma Fornero il debito italiano avrebbe toccato il 140% del Pil.