«Introdurre una flessibilità pensionistica completa avrebbe reso necessarie delle scelte difficili. Ci sono molte opzioni sul tavolo, ma le risorse sono quelle che sono. Semplicemente c’è stata una valutazione di priorità, ma come ha spiegato il ministro Poletti la misura sarà introdotta dall’anno prossimo». Ad affermarlo è Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro, ex commissario straordinario dell’Inps e attualmente componente del Cnel. Intervistato da Repubblica Tv il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, martedì aveva sottolineato: “Nell’arco del 2016 saremo in grado di fare una proposta sulla flessibilità in uscita dal lavoro. Non siamo stati ancora così bravi da riuscire a risolvere questo problema, che è figlio anche del fatto che la contabilità dello Stato deve avere una copertura nell’anno in cui si realizza”.
Treu, che cosa ne pensa delle misure relative alle pensioni contenute in legge di stabilità? Le due misure principali sono l’ultima infornata relativa agli esodati e la proroga di Opzione Donna per il 2015. Quest’ultima era già stata annunciata, anche se non era chiaro se significasse che nel 2015 si maturano i requisiti, e poi si va in pensione nel 2016, o se i requisiti andavano maturati nel 2014 per andare in pensione nel 2015. Fatto sta che ora il dubbio interpretativo è stato sciolto, offrendo alle donne la possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro, con 57 anni d’età e 35 di contributi, ma a condizioni piuttosto costose per le lavoratrici.
Ritiene che il part time in uscita sia una misura interessante? È una misura di cui si è discusso a lungo e che rappresenta una via di mezzo in quanto non si tratta di un’uscita anticipata bensì progressiva. L’orario di lavoro si riduce di circa la metà per due anni. Il primo vantaggio di questa soluzione è che non è legata al contratto di solidarietà, come invece avveniva per altre ipotesi del passato. Inoltre, il lavoratore non perde metà della retribuzione, bensì il 35%, perché il datore di lavoro versa i contributi direttamente nella busta paga del dipendente. È una modalità che può essere utile per quanti intendono ridurre il loro impegno di lavoro, restando però attivi. In sostanza il vantaggio è che una persona continua ad avere un lavoro ma anticipa a metà il suo ritiro.
Lei valuta positivamente questa novità? È un’innovazione che reputo molto utile, e che è molto utilizzata in altri Paesi. Spesso è unita alla staffetta generazionale: si dimezza l’orario di lavoro a un anziano e in cambio si assume un giovane apprendista. Nelle versioni precedenti della norma questo era un obbligo, mentre ora è lasciato alla scelta del datore di lavoro.
Che cosa ne pensa della scelta del governo di anticipare gli interventi su dei singoli punti, ma di rimandare l’introduzione della flessibilità vera e propria? Questo è un tema che il ministro Poletti aveva da tempo istruito e c’erano anche delle pressioni perché fossero introdotti degli interventi già nell’attuale legge di stabilità. Poi non è stato possibile, e la parte più organica è stata rinviata al 2016. Qualcosa però già c’è.
Perché il governo non è riuscito a mantenere gli impegni?
Introdurre una flessibilità pensionistica completa avrebbe reso necessarie delle scelte difficili. In Parlamento c’era chi aveva proposto di trasformare l’intero sistema in contributivo, come con Opzione Donna. Damiano invece ha ipotizzato una penalizzazione del 2% per ogni anno, che è più favorevole per il lavoratore ma è costosa per lo Stato. Baretta a sua volta ha proposto una riduzione graduale.
Le proposte insomma non mancavano…
Ci sono molte opzioni sul tavolo, ma le risorse sono quelle che sono: non ci vedo quindi nessuna implicazione politica generale. Semplicemente c’è stata una valutazione di priorità, ma il ministro Poletti ha spiegato chiaramente che comunque la flessibilità pensionistica sarà introdotta dall’anno prossimo.
Quali nodi sono ancora da sciogliere?
Il nodo principale riguarda le penalizzazioni. Se ogni anno d’anticipo comportasse una riduzione della pensione piuttosto contenuta, allora l’aggravio sarebbe da parte dello Stato. Se invece, come nel caso di Opzione Donna, si prevede un ricalcolo completo con il sistema contributivo, per chi ha una pensione retributiva questo comporterebbe una riduzione anche del 25% se non di più. Questa uscita anticipata sarebbe dunque appetibile solo per chi ha già una pensione piuttosto buona. Per chi prende mille euro, una riduzione del 25% è comunque pesante.
(Pietro Vernizzi)