Il governo sta studiando misure di flessibilità sulle pensioni da introdurre nella legge di stabilità. A renderlo noto è stato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso del suo intervento alla Camera dei Deputati. “Ogni cambiamento va attentamente valutato” alla luce degli effetti sul bilancio. Mentre il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, anche lui in audizione a Montecitorio, ha aggiunto: “Si conferma la volontà di intervenire sulla materia delle salvaguardie degli esodati all’interno della legge di stabilità per una definitiva risoluzione delle problematiche sociali più rilevanti ancora aperte”. Ne abbiamo parlato con Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro, ex commissario straordinario dell’Inps e attualmente componente del Cnel.
Padoan ha parlato di flessibilità nelle pensioni ma nel rispetto del bilancio. Come è possibile tradurre queste indicazioni in strumenti che siano utilizzate dai lavoratori in uscita? Ho visto tutte queste ipotesi che si susseguono e che riguardano diverse possibilità. Personalmente credo che si potrebbe combinare più di un provvedimento. Qualcuno può preferire uscire prima dal mondo del lavoro, anche avendo una significativa diminuzione della sua pensione. Alcune lavoratrici, per esempio, hanno accettato Opzione Donna, in quanto partivano da livelli ragionevoli di pensione e quindi hanno potuto sopportare anche una notevole riduzione del loro assegno. Altri invece possono non avere questa possibilità in quanto partono da una pensione più bassa, e per loro si potrebbe ipotizzare un’altra soluzione.
In concreto lei quali soluzioni propone? Per esempio, il prestito pensionistico, che costa pochissimo, oppure un part-time con metà pensione magari assumendo un giovane. Anche una penalizzazione piuttosto forte potrebbe essere accettata, sia pure magari da poche persone.
Quindi lei propone di mettere a disposizione dei lavoratori una serie di percorsi differenziati? Esattamente. Ma si potrebbero anche porre dei vincoli, e invece di concedere la flessibilità a tutti riservarla a situazioni particolari e negoziate. Persone prossime a diventare esodate potrebbero avere questa via preferenziale. Siccome le salvaguardie per gli esodati costano, in questo modo si risolverebbe la questione con la flessibilità in uscita.
Che cosa ne pensa di una flessibilità su base aziendale? Si potrebbe studiare un’opzione specifica per aziende con forti motivazioni a ristrutturare. Ciò in presenza di un accordo sindacale, con un piano di ristrutturazione serio, in modo da favorirlo attraverso un’uscita flessibile che si accompagni all’assunzione di giovani. In questo modo non solo si ristruttura l’azienda, ma si rinnova anche la forza lavoro.
Insomma, il suo modello è l’opposto della legge Fornero che dettava norme uguali per tutti?
Proprio così. Occorre prevedere più opzioni e platee selezionate sulla base dell’urgenza oppure della necessità aziendale di cambiare struttura e forza lavoro. In questo modo si renderebbe più flessibile il sistema, e l’effetto d’insieme potrebbe anche essere poco costoso.
Lei ritiene che si debba prevedere un percorso specifico per le donne che hanno meno contributi perché si sono occupate della famiglia?
Questo è un altro tema urgente, ma richiede strumenti diversi. Non ha a che fare con la persona che esce un po’ prima perché è stanca e non riesce più a lavorare. Qui c’è un problema generale, e cioè che molte donne a causa dei loro impegni familiari non arrivano ad avere una pensione sufficiente. Mi auguro quindi che il Parlamento faccia delle proposte ad hoc.
Che cosa propone invece per quanto riguarda i lavoratori precoci?
Questa è una razza quasi estinta. Ma se ce n’è ancora qualcuno, va riservata loro l’uscita attraverso la pensione di anzianità. Quanti hanno iniziato a lavorare a 16 o 17 anni, dopo avere versato contributi per 41 anni è giusto che possano andare in pensione senza penalizzazioni. Anche in questo caso è un tema diverso dall’uscita flessibile con penalizzazioni, che riguarda chi ha più di 60 anni.
(Pietro Vernizzi)