Nel momento in cui in Europa il movimento del lavoro sceglie l’italiano Luca Visentini e lo elegge Segretario Generale di Etuc, la Confederazione europea del sindacato, in Italia ci si avvicina a una fondamentale svolta negli assetti regolatori tra le parti sociali e tra le parti stesse e la politica. Come scrivevamo in un recente articolo, in occasione dell’ultimo incontro in agenda per il rinnovo del modello contrattuale (21 settembre), si sono presentate solo Confindustria e Cisl; Cgil e Uil non pervenute. La Cisl è l’unico sindacato ad aver avanzato una proposta, ma è chiaro che non può esistere un modello contrattuale Confindustria-Cisl.



Lo stallo dura da troppo tempo, il precedente accordo è infatti scaduto nel 2013; e già da gennaio di quest’anno – quando Squinzi ha sbottato duramente per la prima volta aprendo a un intervento legislativo – non sono mancate tensioni molto forti tra le parti. Le divergenze più grandi sono sulla retribuzione, i sindacati naturalmente vorrebbero più soldi dalle imprese che però – stante la dinamica inflattiva impazzita degli ultimi anni – avanzano crediti dai lavoratori. Confindustria propone quindi di distribuire ricchezza in funzione della produttività; la Cisl è in linea con questa posizione, la Cgil parla di riduzione dei salari, la Uil in un primo momento pareva d’accordo, ma ora è partita all’attacco degli industriali.



Facendo un passo indietro, a giugno di quest’anno – in occasione del varo dei decreti attuativi del Jobs Act circa misure per la conciliazione e riordino tipologie contrattuali – il governo ha temporeggiato in materia di salario minimo, che la delega del Jobs Act prevede, proprio perché l’Associazione degli industriali ha manifestato qualche resistenza. Del resto, una volta fissata la retribuzione minima per legge, molte imprese potrebbero camminare da sole. Il governo sta ora monitorando la situazione con la volontà tuttavia di arrivare a delle soluzioni a breve termine. A parte l’aspetto retributivo, da tempo l’esecutivo minaccia di intervenire anche sulle regole della rappresentanza.



La situazione ricalca quella del ‘93, quando – dopo due anni di conflitti tra sindacati e Confindustria seguiti alla decisione degli industriali di dare disdetta alla scala mobile (il meccanismo che adeguava automaticamente il salario all’inflazione) – il 23 luglio veniva firmato il protocollo tra Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e Governo Ciampi sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo. L’intesa del ‘93 in particolare contemplava i due diversi livelli di contrattazione (nazionale e decentrata), oltre che incrementi salariali legati, per il secondo livello, alla produttività e nuove regole per l’elezione dei rappresentanti dei lavoratori nelle aziende.

Il protocollo del ‘93 è un documento importante perché riferisce al noto modello della “concertazione” che si afferma in Italia negli anni Novanta, di cui proprio Carlo Azeglio Ciampi fu un grande sostenitore. L’esperienza della concertazione non è tuttavia stata longeva, anche perché con l’avvento sulla scena politica di Berlusconi (‘94) i rapporti tra governo e sindacati si sono fatti più difficili, tanto che più che concertare si è finiti presto col discutere all’infinito del nulla.

L’andamento dell’economia chiede periodicamente di rivedere regole, posizioni ed equilibri. Ora come allora, siamo molto vicini a un cambio di passo e a un nuovo scenario che non può non favorire il contratto. Non è la fine del sindacato – come qualcuno da tempo insinua -, ma è semmai l’inizio di una nuova stagione all’insegna della contrattazione. La strada è quella giusta, la domanda vera è se gli attori sono pronti.

 

Twitter @sabella_thinkin

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