«Non condivido il metodo con cui il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha presentato le sue proposte sulla riforma delle pensioni. In questo modo si rischiano di bypassare tutte le regole base della nostra democrazia”. Lo evidenzia Irene Tinagli, onorevole passata al Pd dopo avere militato in Scelta civica e dal 13 marzo scorso membro della commissione Lavoro pubblico e privato alla Camera dei Deputati. Il presidente Boeri nei giorni scorsi ha pubblicato sul sito dell’Inps il testo “Non per cassa ma per equità”, strutturato in 16 articoli e 69 pagine, in cui si delineano alcune proposte per la riforma delle pensioni.



Onorevole Tinagli, lei è d’accordo con le proposte di Boeri? Le proposte di Boeri hanno fatto molto discutere più per il metodo che per i contenuti. Il metodo è stato assolutamente atipico e irrituale, ed è stato questo l’errore del presidente. Non ha fatto cioè una proposta, ma ha preparato un articolato di legge e lo ha messo sul sito dell’Inps. Si immagini che cosa sarebbe successo se Renzi avesse preso l’articolato, lo avesse trasformato in decreto e lo avesse fatto approvare dal Parlamento. In questo modo sarebbero state bypassate tutte le regole base della democrazia. Quello che ha irrigidito le posizioni è stato dunque il metodo.



Dal punto di vista dei contenuti invece come valuta il documento di Boeri? Dal punto di vista dei contenuti ci sono degli spunti molto utili e interessanti. In particolare, sono molto d’accordo sul fatto che la logica della salvaguardia come metodo per affrontare il tema degli esodati è sbagliata. L’idea di identificare delle categorie che di volta in volta siano esonerate tout court dall’applicazione della riforma ha creato solo caos e ingiustizie, finendo per tutelare persone che non ne avevano veramente bisogno.

Quali categorie sarebbe stato più urgente tutelare? Quelle che comprendono le persone davvero senza lavoro, senza pensioni e senza liquidazione. Sono queste le persone che si stanno cercando di tutelare con le ultime salvaguardie, e che in precedenza erano state totalmente ignorate. La maggior parte delle persone inserite nelle ultime salvaguardie sono estranee alla definizione originaria di esodati, ma oggettivamente hanno bisogno.

Di chi si tratta? Dei 55enni o 60enni disoccupati, licenziati o cui non è stato rinnovato il contratto a tempo determinato. Ma questi erano proprio i casi da cui bisognava partire. Il problema è che gli stessi sindacati hanno voluto partire dagli altri, cioè dalle categorie che avevano rappresentato, protetto, e per le quali erano stati fatti gli accordi con le aziende.

Il presidente Inps ha proposto di tagliare le pensioni più elevate. Come valuta questo punto?

L’idea di Boeri è che andando a tagliare pensioni alte per finanziare sussidi agli anziani poveri, l’intervento rimanga nell’area previdenziale e quindi sia costituzionale. In passato la Consulta aveva fornito infatti questa indicazione. Quando molti anni fa furono introdotti i primi contributi di solidarietà per finanziare le pensioni sociali, la Corte disse che andavano bene perché restavano in ambito previdenziale ispirandosi al principio della solidarietà. Si tratta dunque di un elemento che potrebbe supportare la proposta di Boeri. Il problema però è che si tagliano le pensioni alte per creare dei meccanismi di assistenza, e non per creare delle altre pensioni.

Alla fine si riuscirà a introdurre un’effettiva flessibilità pensionistica? Man mano che si andrà verso un sistema completamente contributivo aumenteranno i margini per la flessibilità. La penalizzazione sarà intrinseca per chi va in pensione in anticipo, perché sarà automaticamente calcolata su un numero inferiore di anni. Il problema è che oltre il 90% delle attuali pensioni sono retributive. I pensionamenti anticipati sono dunque a carico dei giovani di oggi. Per questo va studiato un sistema di penalizzazioni. Ma per realizzare una riforma veramente neutrale dal punto di vista del costo nel futuro, occorre introdurre delle penalizzazioni molto consistenti.

 

(Pietro Vernizzi)