Expo Milano 2015 è terminata. Possiamo dare un giudizio quantitativamente positivo dell’evento (non tratterò qui gli aspetti qualitativi, legati per esempio agli aspetti culturali promossi all’interno dell’esposizione universale). Sono stati coinvolti circa 20.000 lavoratori, assunti con le diverse tipologie contrattuali vigenti nel nostro Paese: lavoratori a tempo indeterminato, determinato, in somministrazione, apprendistato, Partite iva e diverse forma di collaborazioni (occasionale e coordinata continuativa). Possiamo tracciare un profilo del lavoratore “tipo” di Expo: giovane, con un buon livello di istruzione scolastica, residente sul territorio nazionale (quasi il 50% degli occupati non risiede in Lombardia), ma soprattutto disponibile a mettersi in gioco.
Credo che la caratteristica più rilevante e se vogliamo inaspettata, alla luce della vulgata comune sulla condizione giovanile, è stata proprio quest’ultima. Abbiamo assistito a giovani che hanno deciso di trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza dalla città di appartenenza, effettuando tale scelta anche nel giro di 24 ore, arrivando a Milano senza sapere dove dormire la notte, mossi dal desiderio di essere protagonisti di un evento unico nel suo genere, potendo quindi cogliere un’opportunità lavorativa e professionale irripetibile.
Molti di questi giovani hanno visto Expo non solo come “l’unica alternativa” (come diceva mio nonno in dialetto bergamasco “piuttosto che niente è meglio piuttosto”), ma scegliendo di investire su di sé, lasciando magari alcuni lavoretti certamente saltuari ma sicuramente più comodi: alcuni di loro facevano i camerieri in alberghi o ristoranti della propria città, altri ancora hanno deciso di interrompere momentaneamente gli studi universitari.
I sei mesi di Expo ci hanno lasciato uno spaccato di realtà diverso da quello raccontato molto spesso con superficialità: ci sono dei giovani che non sono scoraggiati, ma volenterosi di mettersi in gioco, desiderosi di ricevere delle opportunità e disponibili a fare sacrifici per coglierle, consapevoli che occorre investire sul proprio capitale umano nel mondo del lavoro di oggi, perché la garanzia o tutela principale consiste nel possedere una professionalità spendibile in diversi contesti e settori.
Proprio da questi assunti, emersi dalla realtà, le organizzazioni sindacali della somministrazione hanno stipulato accordi con le Agenzie per il lavoro impegnate in Expo al fine di promuovere iniziative volte alla ricollocazione di questi lavoratori. Ritengo che la politica attiva più importante che verrà messa in campo riguarda la certificazione delle competenze, in particolare quelle che vengono definite le soft skills. Questi lavoratori hanno fatto in sei mesi un’esperienza straordinaria: hanno visto passare davanti ai loro occhi più di 20 milioni di persone, dovendo gestire le situazioni più variegate, dalle scolaresche alle persone anziane, dal rispondere con il sorriso ai visitatori in coda da ore, al governo di situazioni imprevedibili e non codificabili che un evento di tali dimensioni e peculiarità porta con sé.
Problem solving, adattamento, lavoro di squadra, capacità di relazione e interazione con le circostanze in continuo mutamento: sono le competenze maggiormente richieste dalle nostre aziende, in particolare da quelle del settore turistico e commerciale. Oltre alla valorizzazione delle competenze acquisite, gli accordi sottoscritti prevedono anche delle ore di formazione professionale e, in alcuni casi, i moduli finali di questi corsi verranno svolti direttamente presso delle aziende leader nel settore alberghiero e della ristorazione, che già hanno manifestato un loro interesse verso le professionalità in uscita da Expo. Oltre alle politiche attive, i lavoratori interinali impiegati in Expo percepiranno un sostegno al reddito, in aggiunta alla indennità di disoccupazione (Naspi), pari a 750 euro una tantum.
Passati i sei mesi di Esposizione Universale, “l’evento” al quale vorremmo assistere nei prossimi mesi è quello di vedere finalmente attuate le politiche attive in Italia, al fine di valorizzare le competenze acquisite, incrementarle e favorire così la ricollocazione dei lavoratori. In questo protagonismo diffuso nella società, espresso da lavoratori e imprese, organizzazioni sindacali e Agenzie per il lavoro, il grande assente sono le istituzioni. È auspicabile che Governo, Regione e Comune diano segni di vita. Mai vorrei che non se ne sentisse la mancanza…