Come noto, è cominciata la trattativa per il rinnovo del contratto della metalmeccanica. Il precedente accordo del dicembre 2012 – in virtù del quale i lavoratori ottenevano 130 euro lordi in più in busta paga – era firmato solo da Fim e Uilm e non da Fiom; si trattava della quarta firma separata a partire dal 2000.



In questo frangente, Fim e Uilm hanno presentato una piattaforma in cui chiedono 105 euro lordi di aumento. La Fiom, invece, chiede un aumento dei minimi contrattuali pari al 3%/anno. Qui è presente una novità non di poco conto: i metalmeccanici della Cgil propongono di negoziare la parte economica ogni anno e non ogni tre. Federmeccanica ha fatto valere il “credito” dei famosi 75 euro per quanto riguarda il triennio 2013-2015: si tratta della differenza tra l’inflazione programmata pari al 5,9% su cui si è calcolato l’incremento salariale medio di 130 euro, e quella reale, pari al 2,2%. Il Presidente Fabio Storchi non ha mancato di ricordare che dal 2008 a oggi il settore ha perso il 30% della produzione a livello nazionale, il 25% della capacità produttiva e 250 mila addetti.



Fatte salve queste premesse, pare evidente che – se la parte datoriale chiede 75 euro e la parte sindacale ne chiede 115 o un incremento del 3%/anno della retribuzione – se ne può concludere che c’è un oggettivo disallineamento tra le parti. Tutti sanno che per via della deflazione, i lavoratori hanno incassato di più di quello che spettava loro, come Federmeccanica fa valere. Quindi, la rappresentanza datoriale non è impazzita nel momento in cui fa valere questo credito. Le rappresentanze sindacali chiedono un aumento della retribuzione, che sia di 115 euro o del 3%/anno poco importa: è normale che un rinnovo contrattuale contempli un miglioramento anche della retribuzione.



Cosa manca in questo quadro? Semplicemente, la crisi economica e la dinamica inflattiva imprevista presentano uno scenario completamente nuovo che chiede alle parti uno sforzo e delle nuove soluzioni che, ad esempio, il recente rinnovo dei chimici ha trovato.

Come ricordavamo su queste pagine, Marco Bentivogli – Segretario Generale della Fim – da tempo insiste sulla partecipazione come futuro del sindacato. Non ci sono dubbi che ha ragione, il conflitto capitale-lavoro è cosa da altri tempi. Oggi il futuro del lavoro è legato alla sopravvivenza delle imprese, come persino Susanna Camusso ha rimarcato in piena crisi (“Bisogna salvare l’impresa per salvare il lavoro”).

La partecipazione è proprio ciò che il settore della metalmeccanica chiede per fare un passo avanti: che sia questa la volta buona?

 

Twitter @sabella_thinkin

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