Un’altra novità della Legge di stabilità potrà aiutare i cittadini (in particolare le donne) ad avvicinarsi alla pensione. Viene infatti incrementata la possibilità di cumulare il riscatto di periodi in cui non si è lavorato ai fini previdenziali. In particolare, oltre agli anni utilizzati in università per conseguire la laurea, sarà possibile riscattare anche i periodi di maternità oppure quelli trascorsi nell’assistenza di familiari disabili. Il provvedimento previsto con un emendamento alla manovra permetterà, ovviamente, di “recuperare” i periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge stessa. Niente da fare per le donne nate nell’ultimo trimestre del 1957 o del 1958: al momento non potranno accedere a Opzione donna. I lavori della commissione Bilancio della Camera non sono riusciti a far accogliere una delle richieste più importanti che veniva anche da esponenti della commissione Lavoro della stessa maggioranza. È stato però approvato il cosiddetto “contatore” di Opzione donna. In pratica, entro il 30 settembre del prossimo anno verrà redatto dall’Inps un monitoraggio sulle domande effettivamente presentate da chi ora ne ha diritto e sulle risorse necessarie a soddisfarle. Se ci saranno dei risparmi rispetto a quanto stanziato con la Legge di stabilità (2,5 miliardi), questi verranno usati per prorogare Opzione donna anche a chi ora ne è rimasta esclusa. Dunque ci sono italiane che dovranno aspettare quasi un anno per sapere se potranno o meno andare in pensione con Opzione donna.
Nonostante per loro sia stato appena varato l’aumento della no tax area a partire dal 2016, i pensionati restano penalizzati rispetto ai lavoratori dipendenti. Lo segnala una ricerca della Cisl, secondo cui un pensionato che guadagna da 10.000 ai 26.000 euro paga il 5% in più di Irpef dispetto a un lavoratore dipendente con pari reddito. La disparità di trattamento è dovuta al bonus da 80 euro, che, come noto, non viene percepito da pensionati e lavoratori autonomi. La ricerca del sindacato evidenzia anche che i lavoratori dipendenti che guadagnano tra i 26.000 e i 29.000 euro pagano il 5% di Irpef in più rispetto a chi sta sotto i 26.000 euro. Questo perché il bonus da 80 euro non viene da loro percepito. Ecco quindi che si viene a verificare una disuguaglianza verticale anche tra gli stessi lavoratori dipendenti.
La no tax area per i pensionati aumenterà l’anno prossimo, arrivando a 8.000 euro per gli over 75 e a 7.750 euro per tutti gli altri. Un provvedimento che aumenta il potere di acquisto di molti italiani, ma che non è sufficiente, secondo la Cna Pensionati. Il Presidente Giancarlo Pallanti ritiene infatti che “per avere un impatto sensibile sul reddito, la no tax area va elevata almeno a 10.000 euro”. Del resto i pensionati non usufruiscono del bonus da 80 euro e nel 40% dei casi percepiscono un assegno mensile inferiore ai 1.000 euro. Dunque, ricorda Pallanti, bisognerebbe fare qualcosa di più per loro.
L’aumento della no tax area già dal 2016 inserito nella Legge di stabilità viene accolto con favore da Susanna Camusso, che ha ricordato come si trattasse di una delle richieste della Cgil e di un importante risultato conseguito. Tuttavia, la sindacalista non nasconde che la situazione dei pensionati “non è ancora positiva”. Inoltre, la leader della Cgil ha voluto specificare che la bontà di questo provvedimento non basta a “cambiare il segno generale della manovra”, che per la Cgil era (e a questo punto rimane) negativo. – Nonostante non siano state inserite nella Legge di stabilità quelle modifiche in cui buona parte dei cittadini italiani speravano come la flessibilità in uscita, l’allargamento dell’opzione donna e la settima salvaguardia, per l’ampio bacino dei pensionati oggi sono arrivate comunque delle buone notizie. La prima riguarda l’allargamento della cosiddetta no tax area che a partire dal prossimo anno 2016 arriva fino ad 8 mila euro, consentendo così a circa 6 milioni di pensionati di non pagare tasse. La seconda è che quanti sono in possesso di pensioni minime, possono tirare un sospiro di sollievo in quanto non ci saranno effetti negativi sull’assegno di fine per il tanto temuto conguaglio delle perequazione 2014. Questo è reso possibile grazie ad un emendamento del Governo che blocca gli effetti della minore crescita effettiva della scorso anno rispetto a quello che era invece la crescita stimata. Un emendamento che complessivamente costa circa 230 milioni di euro a cui si aggiungono i 54 milioni per l’allargamento della no tax area.