L’Italia ha ribadito ”la richiesta di confermare e stabilizzare il programma Garanzia Giovani”. A dirlo è stato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti al termine della riunione tenuta il 7 dicembre, nell’ambito del Consiglio occupazione dell’Unione europea. Il Ministro ha anche detto che il programma “da noi ha ottenuto risultati positivi e importanti”. Vediamo di dare subito alcuni dati su Garanzia Giovani: al momento le “adesioni” sono state 998.386, di queste 558.580 sono le prese in carico, mentre il numero di posti di lavoro disponibili sono 90.188 (vedi nella Tabella 1 a fondo pagina la tipologia contrattuale delle opportunità di lavoro offerte).
Non riesco proprio a comprendere come le 900 mila adesioni o le 500 mila prese in carico possano rappresentare un successo (bastava un censimento Istat e non si spendeva un miliardo e mezzo di euro), mentre a mio giudizio sono la palese dimostrazione, date l’esigue opportunità di lavoro offerte, della totale inefficacia del programma. Già in altre occasioni avevo evidenziato come la copertura economica dello strumento fosse del tutto insufficiente e, soprattutto, che la Garanzia Giovani, in assenza di un adeguato meccanismo comunitario di stimolo alla domanda di lavoro (e in generale dell’economia), rischia di risultare del tutto inutile.
Inoltre, emergono molti dubbi in merito alle opportunità offerte, come mostrato da diversi contributi di Adapt: gli annunci di “tirocini” nascondono palesemente attività occupazionali che poco hanno a che fare con lo spirito dello strumento, ma prefigurano essenzialmente annunci per profili occupazionali già in possesso di competenze ed esperienza, nei fatti lavori subordinati mascherati da “stage”. Emerge soprattutto uno “scarsissimo” se non “inesistente” controllo delle opportunità di lavoro caricate sul sito “ClickLavoro”, più interessato alla quantità che non alla qualità del lavoro offerto. I soldi impegnati in questa voce di spesa sono oltre 200 milioni di euro, senza escludere che il tirocinio causa anche numerosi effetti “spiazzamento”: l’impresa invece di assumere una persona con contratti a “progetto” o a tempo determinato, preferisce un “tirocinio” che in buona parte non deve neppure pagare.
Nelle offerte proposte emergono non poche perplessità anche in merito ai contratti a tempo determinato, con il sospetto che in molti casi si tratti semplicemente di un “riclico” delle opportunità offerte dalle principali Agenzie private del lavoro, che avrebbero comunque realizzato quell’occupazione, ma hanno inserito il giovane in Garanzia Giovani, per accaparrarsi il premio di inserimento occupazionale (è il classico comportamento opportunistico di manipolazione dei risultati, noto all’estero come effetto gaming). Analoghe considerazioni nascono per i contratti a tempo indeterminato, dove Garanzia Giovani permetteva il “cumulo” con la decontribuzione fiscale prevista dalla Legge di stabilità 2015: qui il rischio palese di aver pagato un “sacco” di soldi inutilmente (circa 11 mila euro per singolo collocamento) è molto alto. In valutazione delle politiche del lavoro si chiama effetto “peso-morto”: quelle collocazioni si ottenevano nello stesso modo, anche senza incentivi.
Un secondo grande problema del programma è stata (in molti contesti lo è ancora) la sua stessa attuazione: abbiamo Regioni, come il Molise in grossissimo ritardo, mentre in altre l’attuazione significa al momento prevalentemente la “presa in carico” a fronte di uno scarsissimo risultato in termini occupazionali o di altri servizi offerti. Il ministero del Lavoro ha stanziato appena 60 milioni di euro tra il 2014-2018 per assicurare interventi preventivi e di attivazione, una cifra irrisoria che distribuita in cinque anni a livello nazionale significa buttare via i soldi (come si vede in Tabella 2 a fondo pagina).
Troppo semplice prendersela con Poletti o il Governo Renzi, senza evidenziare le palesi “carenze” in termini di competenze, capacità e preparazione delle tecnostruttura; questo perché non si è previsto una “tracciabilità” precisa su “chi e quando doveva attuare le misure”, dal Direttore Generale del Ministero al funzionario regionale o provinciale. Data tale mancanza non è possibile stabilire cosa sia successo, chi in questo complesso meccanismo non è competente e andrebbe senza giri di parole “licenziato” o più precisamente messo in “mobilità” per incapacità di svolgere il proprio lavoro.
Infatti, a eccezione dei monitoraggi nazionali e regionali, non sappiamo perché in alcuni casi si fanno 1000 prese in carico e in altre nemmeno 10, oppure in alcuni casi si inseriscono decine di offerte di lavoro al mese e nella strutture vicine neppure una. Questo è stato semmai il grande errore del Governo Renzi, ma anche del Governo Letta: non aver predisposto un piano di attuazione quasi “maniacale” con step e risultati da raggiungere per ogni livello di attuazione, prevedendo sanzioni di carattere disciplinare ed economico (paragonatela a una multinazionale che investe un miliardo e mezzo in un programma e si attende dei risultati). Invece, il programma è stato presentato in “pompa magna” dal premier Renzi, ma tutti sapevano che lo strumento era destinato al disastro e nessuno pagherà per l’inefficacia della misura.
Alla luce delle considerazioni avanzate, proprio per evitare di vedere nell’applicazione del Jobs Act le stesse problematiche, suggerisco innanzitutto di spendere le risorse quasi esclusivamente per rafforzare lo sportello “Eures”, l’unico sportello lavoro che nei prossimi anni garantirà un flusso costante di opportunità di lavoro. Pensate che lo sportello Eures Milano sforna migliaia e migliaia di opportunità, chiunque sia disoccupato e sta leggendo, in possesso di un inglese fluente ed è proattivo ad andare all’estero, si iscriva e carichi immediatamente il suo curriculum.
D’altronde non è solo la bravura delle persone che ci lavora a essere l’arma vincente della rete Eures, è qualcosa di più importante e inestimabile: questo è un “Hub” di opportunità di lavoro che arrivano da tutta Europa e forse anche dal mondo, ma ebbene ribadire solo per giovani (e anche meno-giovani) che si sentono cittadini del mondo.
Attraverso tale suggerimento, risulta palese che il sottoscritto è d’accordo con il Ministro sul prolungamento della Garanzia Giovani, addirittura nel trasformare questo programma in un modello “strutturale” costante nel tempo, ma usando in modo diverso la stessa dotazione economica, garantendone la “tracciabilità” e soprattutto riducendo le risorse in attività formative. Nei confronti di quest’ultima voce di spesa è forse utile citare il lavoro di Marco Caliendo e Ricarda Schmidl, Youth Unemployment and Active Labor Market Policies in Europe (2015), dove attraverso un lavoro di meta-analisi si confrontano valutazioni empiriche sull’efficacia della formazione professionale di breve o lungo periodo nel collocare i giovani disoccupati realizzata in tutta Europa. I risultati sono nella quasi totalità negativi o in prevalenza nulli, ovvero aver erogato formazione professionale (da non confondere con i programmi formativi di acquisizione del diploma professionale) non serve assolutamente a nulla. In altri termini, investire in formazione professionale per ridurre la disoccupazione dei giovani significa pagare solo i formatori e buttare i soldi dalla finestra.