«La proposta Damiano sulla flessibilità pensionistica è insufficiente. Serve una soluzione per i prossimi 30 anni che stabilisca l’età in cui andare in pensione sulla base della professione svolta e delle differenze di genere». Lo afferma Giorgio Airaudo, deputato di Sel, membro della commissione Lavoro ed ex sindacalista Fiom. Nella legge di stabilità approvata definitivamente dal Senato ci si limita a introdurre la settima salvaguardia degli esodati e Opzione Donna, ma il vero nodo della flessibilità pensionistica resta irrisolto. La stessa Opzione Donna è limitata alle lavoratrici nate nei primi trimestri del 1957 (o del 1958 nel caso siano autonome).



Onorevole Airaudo, è soddisfatto del modo in cui la legge di stabilità interviene sulle tematiche relative alla previdenza? No. La settima salvaguardia non è sufficiente, perché continuano a restare degli esodati, e Opzione Donna ha una portata limitata. Si è contenuto il danno ma non si è andati alla radice del problema: continuiamo a frantumare la soluzione, ma non arriviamo mai a risposte definitive. Noi abbiamo una legge che manda troppo tardi in pensione le lavoratrici e i lavoratori, senza distinguere per tipologia di lavoro e per genere. E’ noto che le donne spesso sono attive per più ore rispetto agli uomini perché su di loro gravano i lavori di cura.



Riferendosi alla flessibilità il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha detto che se ne riparlerà nel 2016… E’ la terza volta che Poletti dice che la flessibilità si farà. Quello di Renzi doveva essere il governo della svolta che cambiava verso e che passava dalle promesse ai fatti. Invece si è rivelato il governo delle cambiali: solo che le cambiali le pagano i cittadini.

Secondo lei qual è la soluzione a questo problema? Bisogna prendere atto che la riforma delle pensioni di Elsa Fornero ha posto al riparo i conti ma ha messo in difficoltà gli uomini e le donne. Li manda infatti in pensione troppo tardi, impedisce ai giovani di entrare prima nel mondo del lavoro e non tiene conto né delle differenze di genere né delle diverse tipologie di lavoro. E’ una riforma ingiusta.



Lei quindi che cosa propone? Serve una nuova riforma che abbassi l’età pensionabile, che distingua i lavori, che riconosca il lavoro di genere e che tenga conto dell’umanità delle persone. I lavoratori non sono numeri, e l’idea che si possa lavorare fino a 70 anni per molte tipologie professionali è improbabile, anzi impossibile. Inoltre tanti giovani che entreranno al lavoro tardi e con carriere discontinue, se mai raggiungeranno la pensione, avranno seri problemi di reddito.

E’ meglio una quota fissa o che ciascuno percepisca un assegno in base a quanti anni ha lavorato?

Io penso che ci debba essere una distinzione in base alla tipologia dei lavori. Poi c’è un minimo di pensione sotto a cui non si può scendere. Già oggi chi si è ritirato dal lavoro con i vecchi sistemi spesso percepisce un assegno che non gli consente di vivere dignitosamente.

 

Lei è a favore della proposta sulla flessibilità pensionistica di Cesare Damiano?

Io penso che sia insufficiente. Poi capisco che se uno vuole ridurre il danno è meglio la proposta di Damiano che un pugno in testa. La verità è però che bisognerebbe trovare una soluzione definitiva che duri 30 anni.

 

A partire da quale età ritiene che una persona debba essere lasciata libera di scegliere se andare in pensione o meno?

Dipende dal lavoro che ha svolto. Se uno ha iniziato a lavorare a 15 anni, e ha fatto l’edile per tutta la vita, deve poter andare in pensione prima dei 60 anni. Se invece uno fa il professore universitario e ha ancora le energie, può continuare a lavorare anche fino a 70 anni.

 

(Pietro Vernizzi)