Le parole del Ministro Poletti – per quanto si possano e si debbano discutere – non arrivano certamente a caso. Innanzitutto, come ha ricordato Giuliano Cazzola su queste pagine, la “retribuzione di risultato” non è operante soltanto nel pubblico impiego: il 60,1% dei dipendenti delle imprese associate a Confindustria è coperto da un contratto di secondo livello che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi, legati appunto a obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del lavoro.
Ma perché il ministro del Lavoro irrompe nel dibattito con questa dichiarazione? Nelle ultime due settimane si sono verificati due fatti significativi. In primis, il 26 novembre Confcommercio firma l’intesa sulla rappresentanza del gennaio 2014. Pur restando il problema della trasmissione all’Inps da parte delle imprese dei dati sulle rappresentanze sindacali aziendali e unitarie – cosa che procede con molta lentezza -, ormai quasi tutte le organizzazioni in rappresentanza dei datori di lavoro hanno firmato l’intesa; manca all’appello soltanto il mondo della piccola impresa (Confapi, Confimi). In secondo luogo, Cgil, Cisl e Uil stanno lavorando per un accordo di piattaforma unitaria per la riforma dei contratti: anche ieri le Segreterie delle tre sigle maggioritarie si sono riviste e la volontà comune di potenziare la contrattazione aziendale è stata ribadita (non poteva essere altrimenti visti gli incentivi previsti dalla manovra di stabilità).
Sono entrambi segnali che le Parti sociali non vogliono che il Governo intervenga in materia di rappresentanza e contratti. L’esecutivo naturalmente non vuole a tutti i costi intervenire in un terreno dove non è solito farlo, ma nell’ottica di una modernizzazione delle regole – anche la contrattazione contribuisce alla regolazione del lavoro – manda dei segnali: o si fanno le cose per bene, o le regole le facciamo noi.
Ecco spiegato l’intervento di Poletti che, a questo punto, genera non poche domande. Naturalmente il sindacato è in parte d’accordo col Ministro, ma il nuovo accordo andrà nella direzione di legare maggiormente la retribuzione al risultato? E se non lo dovesse fare? E, in materia di esigibilità degli accordi, quando il Testo unico sulla rappresentanza andrà a regime?
Siamo nel mezzo della partita sulla riforma dei contratti e i giochi sono molto aperti. Non c’è dubbio – come scriviamo da tempo – che il sindacato ne uscirà trasformato e che la trasformazione sarà l’unica possibilità per le Parti di darsi un futuro. In quale direzione? Più contrattazione e meno concertazione. Ma, a dire il vero, la concertazione non c’è più da molto tempo.
Twitter @sabella_thinkin