«La vera sfida per rendere sostenibile il nostro sistema previdenziale è incentivare le imprese ad alzare gli stipendi. I redditi bassi sono sinonimo di disavanzo di cassa oggi e pensioni sotto la soglia di povertà domani». Lo afferma il professor Nino Galloni, membro effettivo del collegio dei sindaci dell’Inps. Dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale del referendum contro la legge Fornero proposto dalla Lega nord, il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, aveva dichiarato che occorre trovare una soluzione per i lavoratori anziani che restano senza occupazione o “ci sarà un’emergenza sociale”.
Professor Galloni, da dove nascono gli attuali problemi del nostro sistema previdenziale?
All’inizio degli anni ’90, quando era in corso il negoziato per Maastricht, ci si basò su scenari di grande sviluppo economico per consentire che i parametri del trattato fossero restrittivi. Ciò senza considerare che in una situazione di recessione quei parametri sarebbero stati da suicidio. Nello stesso momento a Roma era in corso il tavolo sulle pensioni, e i medesimi esperti fornivano uno scenario molto pessimistico per giustificare una riforma particolarmente gravosa di tipo contributivo.
Quali erano le posizioni politiche su questo tema?
La riforma fu proposta dal governo Berlusconi, che cadde al seguito delle manifestazioni di protesta. Gli successe il governo Dini che introdusse il sistema contributivo.
La riforma Dini è stata efficace?
Il sistema contributivo è per definizione in equilibrio finanziario ed è commisurato all’intera vita lavorativa. Nella transizione da un sistema all’altro però si è avuta l’esigenza di pre-pensionare determinate categorie. Sono inoltre venuti meno i contributi dei lavori pubblici, perché chiaramente si era bloccato il turnover e la domanda di dirigenti è crollata per la privatizzazione delle partecipazioni statali. Il risultato è stata una discrepanza di cassa piuttosto difficile da sostenere.
Quindi è stata la volta della riforma Fornero…
Consapevole di questi problemi di sostenibilità finanziaria, la Fornero è intervenuta senza curarsi minimamente della sostenibilità sociale e ha accelerato il momento in cui il contributivo doveva andare a regime.
Con quali conseguenze?
Il contributivo è un sistema sostenibile finanziariamente a prescindere dall’andamento dell’occupazione. Diventa invece insostenibile socialmente quando i livelli retributivi sono bassi o ci sono carenze di contributi. Tutti si sono preoccupati della sostenibilità finanziaria, nessuno ha sollevato il problema della sostenibilità sociale.
In una fase di recessione però gli stipendi si abbassano…
Se le retribuzioni sono basse, mi trovo oggi con un disavanzo di cassa e domani con delle pensioni sotto il livello della povertà. Non ha senso che ci siano dei contributi, se poi dobbiamo ricorrere alla tassazione generale per sostenere socialmente il sistema. Si dovrebbe quindi sempre intervenire avendo un occhio alla sostenibilità finanziaria e un occhio alla sostenibilità sociale.
Secondo lei, quale può essere la soluzione?
Se vogliamo mettere mano alle pensioni, occorre rendere più conveniente per le imprese pagare i lavoratori di più e non di meno. Se sostituissimo l’aliquota fissa con un contributo fisso da parte del datore di lavoro uguale per tutti i dipendenti, creeremmo la convenienza ad avere più lavoratori ben pagati e meno collaboratori pagati male. Il datore di lavoro pagherebbe infatti la stessa somma nell’uno o nell’altro caso. Si romperebbe così il “vizio originario” che deriva dallo scambio deciso a suo tempo tra flessibilità e occupazione, invece che tra flessibilità e salario che sarebbe la soluzione giusta.
Ritiene che l’attuale sistema penalizzi i giovani?
I giovani avranno pensioni basse non per colpa dell’Inps, ma perché si è attuata una politica di riduzione dei salari e dell’occupazione. L’occupazione incide sulla sostenibilità nella transizione, cioè sui contributi correnti con i quali faccio cassa per pagare le pensioni precedenti le cui condizioni erano migliori. Se gli anziani non prendessero delle pensioni buone, i giovani avrebbero delle prospettive di ulteriore precarizzazione, e quindi il loro futuro previdenziale sarebbe ancora peggiore. Quello su cui si deve intervenire, rispettando le logiche dei mercati, è fare in modo di sostituire lavoratori sottopagati con lavoratori ben pagati.
(Pietro Vernizzi)