Con una raccomandazione all’uopo dedicata, l’Unione europea ha previsto, a partire dall’aprile del 2013, l’istituzione e lo sviluppo, in tutti i paesi membri, della cosiddetta “Garanzia per i giovani”. In tale documento si auspica che, entro un periodo di quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema d’istruzione formale, i giovani “Neet” ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio. Il programma è, quindi, almeno nelle intenzioni delle istituzioni europee, un’occasione importante per rilanciare, anche dove questo non sia stato adeguatamente implementato come nel caso dell’Italia, l’istituto dell’apprendistato.
In particolare, nel nostro Paese, è stata strutturalmente debole, nonostante lo sforzo per cambiare le cose concretizzatosi, ad esempio, nella definizione del testo Unico del 2011 e le sue successive modifiche, la formazione di base e trasversale, disciplinata dalle amministrazioni regionali, esterna all’azienda, che oggi, sulla base delle più recenti innovazioni, è integrativa rispetto a quella tecnico-professionale da svolgersi in azienda.
A tal fine il Ministero, anche quest’anno, ha destinato ben 100 milioni di euro per il finanziamento di tali attività di formazione, destinandone prioritariamente il 50% alla tipologia di apprendistato professionalizzante. Tali risorse sono ripartite tra le Regioni per il 65% sulla base degli apprendisti assunti e per il 35% sulla base dei (pochi) apprendisti formati. Dal documento emerge, infatti, come, partendo da una media elaborata su dati Istat nel triennio 2011-2013, su 470 mila apprendisti occupati hanno partecipato ai momenti formativi previsti dalle regioni solamente 150 mila giovani (poco più del 30% del totale).
I dati regionali sono, tuttavia, molto diversificati. Se, ad esempio, nella Provincia di Trento su 5402 apprendisti assunti ben 4485 partecipano a tali corsi, sono 0 i ragazzi coinvolti in momenti formativi rispetto agli oltre 7000 contratti di apprendistato attivati in Calabria.
In questo contesto interviene il Jobs Act, in particolare con riferimento all’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e quello per l’alta formazione e ricerca. Il nuovo testo “unico” semplificato dei contratti approvato venerdì scorso, oltre a ridefinire in parte la denominazione dei percorsi, riduce, infatti, sensibilmente i costi per le imprese e pone al centro della nuova regolamentazione le istituzioni formative.
Si cerca, insomma, di costruire un sistema “duale” integrato, sulla scorta dell’esperienza tedesca, che favorisca l’attivazione di questa tipologia contrattuale ritenuta uno strumento fondamentale nella sfida contro la disoccupazione giovanile. Le grandi assenti di questo nuovo assetto sembrano essere, tuttavia, le Regioni che, altresì, erano state, non sempre con efficacia, i player su cui si giocava la partita dell’implementazione di questo istituto.
Sembra, peraltro, che l’attuale governo – si veda anche il progetto di riforma costituzionale – tenda a un riaccentramento delle competenze in materia di politiche del lavoro. È da sperare, tuttavia, che si trovi, in questo come in altri casi, un punto di equilibrio tra la necessità di avere una governance dei processi chiara e i bisogni dei territori e il suo ascolto senza il quale ogni politica è destinata, inevitabilmente, a fallire.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com