Un gruppo di nove giuristi e avvocati ha predisposto, con ampio consenso in sede di governo, una proposta di legge in materia di rappresentanza sindacale che sarà presentata pubblicamente in data di oggi, lunedì 9 febbraio, alla Terza Università di Roma.

A dire il vero, già il 5 agosto 2013 era stato presentato al Senato – da Pietro Ichino – un progetto organico di legge, tratto da una proposta di contenuto analogo del 2009. Il Jobs Act nei primi testi (dicembre 2013) addirittura programmava questa ipotesi. Come mai questa intenzione di andare a regolare per legge i rapporti tra le Parti sociali? Perché, in Italia, succede che le regole e i contratti sottoscritti valgono fino a quando va bene al sindacato; e poi non più.



Come scritto in un precedente articolo, le regole della contrattazione, per ciò che concerne gli aspetti retributivi, seguono la dinamica inflattiva regolata dall’indice Ipca (è l’indice dei prezzi al consumo). Ciò consente in momenti in cui l’inflazione cresce e, con essa, i prezzi di beni e servizi – cosa che naturalmente comporta una diminuzione del potere d’acquisto – di adeguare la retribuzione prevista dai contratti collettivi nazionali. Ma il momento congiunturale dell’economia vede completamente saltare qualsiasi comportamento standard per via della deflazione, ossia della diminuzione del livello generale dei prezzi, fenomeno molto pericoloso.



Tuttavia, essendo l’economia italiana – come quella di altri paesi europei – in una situazione di deflazione, paradosso vuole che i lavoratori debbano restituire denari alle imprese.

Venendo ai fatti, il 12 gennaio Federchimica ha proposto svariate soluzioni al sindacato che sarebbero confluite nel prossimo rinnovo, chiedendo però il rispetto delle regole contrattuali. Perché un contratto è tale quando è rispettato! Tutti sanno che il contratto dei chimici è l’ultimo baluardo a difesa del contratto collettivo. Eppure queste le dichiarazioni dei sindacati contro Federchimica: “Vogliono uccidere il contratto collettivo”, “Non siamo il bancomat delle imprese”. La parte datoriale della chimica ha invece fatto di tutto per agevolare il sindacato nell’applicazione della norma contrattuale. Se un accordo non viene rispettato, un accordo muore. La morte di un contratto è nell’interesse di lavoro e impresa? Certo che no. Si perde un riferimento fondamentale. Ciò non può non avere un seguito importante.



La verità è che i sindacati hanno deciso di venir meno agli accordi sottoscritti e di non rispettare i contratti. Per questo non si è fatta attendere la replica di Confindustria a tale rottura che, nella persona del suo presidente Giorgio Squinzi, ha dichiarato: “La questione dell’esigibilità degli accordi e delle regole va affrontata. Le Parti Sociali spesso rivendicano piena autonomia e per questo guardano con sfavore ogni tentativo del legislatore di scrivere regole al posto loro. Ma per rivendicare piena autonomia, gli accordi vanno rispettati e non solo firmati”.

Il Presidente Squinzi tra le righe fa capire che la parte datoriale è disposta ad accettare che sia il legislatore a determinare la certezza delle regole e, quindi, della rappresentanza. I sindacati dicono di non volere la legge sulla rappresentanza, anche perché temono di doversi “contare”: devono infatti raggiungere il quorum del 5% di rappresentatività all’interno di ogni settore, come regolato dall’intesa di gennaio 2014, e in molti casi questo minimo non viene raggiunto. Ecco perché faticano ad andare a regime sulle regole della rappresentanza.

Ma è chiaro che tutto questo genera incertezza. Come se ne esce? Il governo pare deciso per la legge, per la gioia di Renzi, Squinzi, Ichino e… Marchionne!

 

In collaborazione con www.think-in.it

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