Thomas Piketty, nel suo studio sulla dinamica de “Il capitale del XXI secolo”, porta in evidenza, attraverso dati e narrazioni, il percorso di formazione di un capitale (finanziario) che cresce come moltiplicatore di rendite lasciando a debita distanza il grado di sviluppo da crescita economica reale. L’immagine che si forma è quella di una forbice che disegna uno spazio ampio pieno di diseguaglianza e povertà.
I meccanismi individuati per accorciare la distanza hanno a che fare col ridisegno delle regole di sistema-Paese nel tentativo di ottenere una qualche riallocazione di risorse tra gli attori della società. Rimangono comunque alcune questioni aperte in merito a come muovere i flussi di risorse che continuano ad alimentare uno stock di capitale conservativo.
“La nuova geografia del lavoro” di Enrico Moretti, contesto americano con riferimenti aggiornati al nostro sistema italiano, rileva una via, all’interno dello spazio indicato sopra, fatta di cantieri di sviluppo, dove i flussi di risorse – competenze e abilità – sono rigenerati attraverso il driver della tecnologia/innovazione. Si sottolinea come l’innovazione nel settore ad alta tecnologia sia il motore dello sviluppo, mentre i servizi locali (ricezione, intrattenimento, distribuzione, libere professioni, settore pubblico) sono un effetto della crescita e non la sua causa. Essi prosperano laddove c’è la ricchezza creata dal settore innovativo, ma non la creano essi stessi.
Infatti, nei fulcri (hub) dell’alta tecnologia sono più alte le remunerazioni medie non solo di ricercatori e ingegneri, ma anche degli altri professionisti e dei lavoratori non qualificati. C’è di più: in questi hub l’occupazione è maggiore a tutti i livelli, maggiore la speranza di vita, minori i divorzi, maggiore la partecipazione politica. L’indicazione che segue è che la posizione geografica è sempre più determinante nell’economia della conoscenza ancor più che in quella industriale.; nell’era della globalizzazione, l’open e big data e il digital ridisegnano in certo qual modo la competenza su base geografica.
Un giovane in cerca di lavoro che non opti per la ricerca di un’eredità che lo collochi dalla parte del “capitale conservativo” quali possibilità ha allora di geolocalizzarsi dalla parte della crescita? In senso ampio il geolocalizzarsi può essere inteso come “l’uomo giusto al posto giusto nel luogo giusto “: personalità, abilita e competenze rintracciabili – offerte e richieste – da km zero a infinito.
Due recenti esperienze italiane, incontrate nell’ambito di un seminario per studenti master, sembrano contribuire a interpretare e sostenere questa tendenza facendo di geolocalizzazione, semantica del web e catena corta delle relazioni gli ingredienti di un nuovo social business model del mercato del capitale della conoscenza e delle abilita. Qui il “social” è riferito al fatto che fa parte dell’idea di business capace di contribuire a una condivisione del valore generato. Da un lato, la start-up Jobyourlife e, dall’altro, il portale Wollybi.
Due retroterra e due contesti diversi e una comune passione per il rischio imprenditoriale a partire da un’esperienza concreta di bisogno. Entrambe lavorando attraverso le nuove tecnologie di trattamento dei dati portano a una semplificazione la dinamica tra offerta e domanda di lavoro rileggendo e rappresentando in modo più efficace i fattori “skills” interni al capitale umano e attualizzando e localizzando i flussi che li compongono, in modo da soddisfare al meglio, almeno in via di possibilità, il detto “Chi cerca trova”.
La prospettiva della geolocalizzazione delle opportunità di lavoro attraverso un’analisi puntuale dei profili offerti (jobyourlife) e richiesti (wollybi) sono anche due esempi di come le nuove tecnologie e la creatività si possono coniugare per diradare il ritardo temporale e la vischiosità che caratterizza il mercato del lavoro e in un certo senso aiutare l’azione di governance pubblica.
Per finire alcune linee di attenzione per chi cerca lavoro e chi prende decisioni sulla formazione; attenzione agli investimenti che aiutino un certo grado di elasticità di cambiamento nel tempo: (1) educazione a partire dai problemi, (2) un buon mix di cultura umanistiche e scientifica, (3) una specializzazione a largo spettro di applicabilità….e un (bel) po’ di rischio personale. I primi due sono percorsi interni alla filiera educativa e formativa e il terzo è una andata e ritorno tra sapere ed esperienza professionale dei diversi contesti lavorativi. Chi si muove viene seguito, chi sta fermo viene mappato.