«La risorsa “segreta” per rilanciare la flessibilità pensionistica è contenuta negli incentivi previsti per il contratto a tutele crescenti». Lo rivela Stefano Giubboni, professore di Diritto del lavoro all’Università di Perugia, secondo cui «la vera leva è utilizzare il part-time per i lavoratori anziani, consentendo loro orari di lavoro flessibili e utilizzandoli come “tutor” per i giovani destinati a sostituirli. E pochi sanno che gli incentivi per i contratti a tutele crescenti valgono anche per le assunzioni con contratto indeterminato ma a tempo parziale».
Per una riforma delle pensioni, tra le proposte di cui si discute ci sono ddl Damiano, prestito pensionistico e Opzione Donna estesa a tutti. Lei quale privilegerebbe?
Valuto in modo molto positivo questo dibattito sulla flessibilità del sistema pensionistico. L’irrigidimento introdotto con il decreto Salva Italia oggi può essere ripensato, in vista anche di una gestione più flessibile del mercato del lavoro. In questo modo, inoltre, si potrebbero favorire riforme di turnover che il decreto Salva Italia ha bloccato per alcuni anni. Ciò dà inoltre ragione degli elevatissimi livelli di disoccupazione giovanile. Gli obiettivi delle varie proposte che vanno nella direzione della flessibilità sono in sostanza gli stessi.
L’uscita anticipata va legata a delle penalizzazioni?
Tra le ipotesi c’è l’accesso alla pensione a un’età anagrafica inferiore con un alleggerimento calcolato alla stregua di un criterio contributivo puro, correlando il coefficiente di trasformazione all’età anagrafica anticipata che deve essere consentita. Queste proposte devono essere considerate attentamente e con uno spirito positivo, in quanto rispondono a un’esigenza reale molto avvertita.
Si dice spesso che mandare prima in pensione gli anziani aumenta l’occupazione giovanile. È veramente così?
Non credo che esistano correlazioni causali immediate, ma certamente una qualche correlazione esiste. Si può ipotizzare, anche a partire dall’analisi dell’andamento dei flussi occupazionali di questi ultimi anni di crisi, che l’innalzamento di età di accesso alla pensione per i lavoratori anziani abbia ridotto le opportunità per i giovani. Ecco perché ora è opportuno riaprire questo dibattito. L’entrata in vigore del Jobs Act, in coincidenza con una timida ripresa per l’economia reale e soprattutto con la massiccia iniezione di liquidità da parte della Bce, potrebbe in effetti potenziare ulteriormente le opportunità per i giovani.
Quali soluzioni concrete si possono trovare?
Non dimentichiamoci che una politica sociale tradizionale è stata quella di collegare l’assunzione di un lavoratore giovane all’accompagnamento alla pensione mediante part-time del lavoratore anziano. Nel nostro Paese si sono avute esperienze di questo tipo, che però non hanno funzionato. Segnalo però che esiste una correlazione tra l’età pensionabile elevata per i lavoratori anziani e maggiori opportunità per i giovani.
Com’è la legislazione italiana sul part-time?
La legge 863/1984 ha messo un riparo a un grave disincentivo al part-time, dal momento che la legislazione precedente non consentiva l’integrazione del minimale contributivo. Oggi il nostro ordinamento non disincentiva il part-time, ma è pur vero che non fa abbastanza per incentivarlo. Esso deve tornare al centro delle nostre priorità. Ricordo comunque che la decontribuzione prevista per il contratto a tutele crescenti è anche applicabile per contratti indeterminati a tempo parziale.
Che cosa si può fare per incentivare ulteriormente il part-time?
L’ordinamento giuridico e il sistema normativo non possono fare moltissimo a parte regolare la tipologia contrattuale in modo chiaro. L’incentivo principale può essere di tipo contributivo. Questo però in passato non ha funzionato e oggi l’incentivazione contributiva è opportunamente focalizzata sul contratto a tutele crescenti che può anche essere un contratto di lavoro a tempo parziale.
(Pietro Vernizzi)