Nell’incalzante produzione normativa di questo Governo, tra dichiarazioni, rinvii e commenti è facile perdere un po’ l’orientamento, nonché la logica complessiva della riforma del lavoro che si concretizzerà nel 2015. Non sarà quindi sforzo vano quello di cercare di illustrare il quadro che si sta delineando con i diversi provvedimenti già in vigore introdotti dal Jobs Act (atto 2°), allo scopo di capire cosa ci dovremmo aspettare nei prossimi mesi in termini di riordino delle tipologie contrattuali.
Le novità del contratto a tempo indeterminato. Dallo scorso sabato 7 marzo sono diventati operativi i primi due decreti delegati dalla Legge 10.12.2014 n. 183 che rappresenta la cornice generale sulla quale il Governo sta costruendo le norme per la modernizzazione del mercato del lavoro. Si tratta dell’attesissimo decreto sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23) e il decreto in tema di ammortizzatori sociali (Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22). Con questi provvedimenti il legislatore ha inteso scommettere (quasi tutto) sulla forma del contratto a tempo indeterminato, non solo affermando il principio per cui si tratta della “forma comune del rapporto di lavoro”, ma, diversamente da quanto avvenuto in passato, cercando di attuare tale principio con un concreto sistema di azioni e norme.
A rendere più attrattivo il contratto a tempo indeterminato ci ha pensato innanzitutto la Legge di stabilità di quest’anno, con l’integrale deducibilità ai fini Irap del relativo costo e con le agevolazioni contributive introdotte non in via strutturale, ma, per evidenti motivi di risorse, solo sui contratti a tempo indeterminato iniziati entro il 2015 e per i prossimi 3 anni, fino al 31/12/2017 (con uno sconto annuale massimo di 8.060 euro sui contributi a carico del datore di lavoro). Il contratto a tempo indeterminato costerà di meno, almeno fino al 2017, sia del contratto a termine, sia delle collaborazioni a progetto, mentre rimane ancora più oneroso dell’apprendistato, salvo quest’ultimo essere gravato anche da oneri per gli obblighi formativi.
È anche merito di questo incentivo se in questi primi mesi dell’anno ci sono state almeno 76 mila assunzioni a tempo indeterminato. Infatti, come ha dichiarato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, durante una conferenza stampa di ieri “I primi dati sono incoraggianti, 76 mila imprese nei primi 20 giorni (di febbraio) ha fatto richiesta (di usufruire dello sconto contributivo), quindi le assunzioni potrebbero essere molte di più“.
Il maggior appeal di tale forma contrattuale è poi rafforzato da un nuovo regime sanzionatorio con costi certi e prefissati in caso di licenziamento economico non giustificato e senza possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro prevista dal noto articolo 18. L’applicazione di tale forma di indennità economica crescente con l’anzianità del lavoratore vale per tutti i dipendenti assunti da sabato 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato o destinatari, da tale data, della conversione di un contratto a termine o di un apprendistato.
A controbilanciare il rischio del fenomeno di una maggior uscita dal mercato del lavoro (perché più “facile” licenziare senza il rischio della reintegra) è intervenuto il decreto sugli ammortizzatori sociali che proprio in tema di assegno di disoccupazione per i dipendenti (Naspi), amplia dal 1° maggio 2015 la platea dei suoi destinatari. Per essere beneficiari della prestazione di sostegno al reddito saranno infatti sufficienti 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione (oggi è necessario almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente) e 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti.
Sul fronte della flessibilità del rapporto contrattuale subordinato si colloca la modifica sulle mansioni (art. 2103 c.c.), oggetto del decreto ancora non definitivo sul riordino delle tipologie contrattuali. Nel testo a oggi diffuso è stabilita la possibilità per i contratti collettivi, anche aziendali, di prevedere ipotesi di assegnazioni di mansioni inferiori e per gli accordi individuali in sede protetta e nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita, di concordare direttamente l’assegnazione di mansioni di contenuto inferiore.
Al momento questa è l’unica modifica in termini di flessibilità interna e semplificazione del contratto di lavoro dipendente e ciò non può essere considerato sufficiente: forse si potrebbe agire sul lavoro part-time e sul lavoro intermittente (job on call), ma al momento lo schema di decreto sul riordino delle tipologie contrattuali non modifica sostanzialmente nulla del lavoro intermittente, né incide in modo particolarmente rilevante sul part-time. Nel lavoro a tempo parziale l’unica modifica che mi pare interessante riguarda la possibilità per il dipendente di ottenere, in alternativa al diritto al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale per un periodo corrispondente la durata del congedo parentale (di norma 6 mesi) e con una riduzione d’orario non superiore al 50%.
I cambiamenti delle altre forme contrattuali. Come cambiano le altre forme contrattuali diverse dal contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato? A conferma della forte “scommessa” del nostro legislatore sul contratto a tempo indeterminato, quasi a forzare il buon esito della riforma saranno definitivamente cancellati dal nostro ordinamento, con effetto dall’entrata in vigore del decreto (prevista per metà aprile), l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sharing. Inoltre dal 1° gennaio 2016 saranno ricondotte a lavoro subordinato (salvo poche tassative eccezioni) tutte le collaborazioni (anche a progetto, con o senza Partita Iva senza obbligo di iscrizione ad albi) “etero organizzate”, cioè collaborazioni esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Esiste comunque l’opportunità di stabilizzare mediante assunzione entro il 31/12/2015 sia le co.co.co. che gli incarichi a Partita Iva: in tal caso, oltre a poter beneficiare dello sgravio contributivo introdotto dalla Legge di stabilità, i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato tali collaboratori beneficiano dell’estinzione di ogni possibile onere di natura contributiva, assicurativa e fiscale connesso all’eventuale erronea qualificazione del pregresso rapporto di lavoro.
Le eccezioni alla descritta riconduzione automatica al lavoro subordinato riguardano i contratti di co.co.co. disciplinati da accordi collettivi (ad esempio, nei call center e nel settore delle ricerche di mercato), le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è richiesta l’iscrizione ad albi professionali, le prestazioni rese ai fini istituzionali nelle associazioni sportive dilettantistiche e le collaborazioni per le attività rese da amministratori/sindaci/partecipanti a collegi e commissioni.
Inoltre, con l’entrata in vigore del decreto, stando all’attuale testo, non si potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, né collaborazioni coordinate di breve periodo e importo (fino a 30 giorni e per un massimo di 5.000 euro all’anno), né le collaborazioni, senza progetto, dei pensionati di vecchiaia. Ferma restando la cancellazione delle co.co.pro., la collaborazione autonoma coordinata e continuativa non scompare dal nostro ordinamento ma resta prevista dall’art. 409 c.p.c., comma 3, come “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale” senza progetto, con un ritorno allo scenario esistente prima del D. Lgs. 276/03 (“Riforma Biagi”).
Sarebbe però fondamentale, per evitare futuri contenziosi, che la legge chiarisse come instaurare collaborazioni “legittime”, perché nel rispetto delle caratteristiche di cui al 3° c. dell’art.409 c.p.c. non dovranno comunque sussistere i caratteri che determinano l’automatica riconduzione a lavoro subordinato, quindi, la collaborazione dovrà essere “prevalentemente”, ma non “esclusivamente, personale”, coordinata e continuativa, ma non anche “a contenuto ripetitivo“, né “organizzata dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Per quanto riguarda invece le circa 380.000 collaborazioni in essere alla data di entrata in vigore del nuovo Decreto, al momento, in assenza di diverse interpretazioni, potranno continuare a ritenersi legittime e regolate dall’attuale disciplina, fermo restando la già ricordata subordinazione “obbligata” a partire dal 1° gennaio 2016, qualora presentino le caratteristiche sopra descritte.
È apprezzabile che anche la somministrazione a tempo indeterminato sia stata liberalizzata dalle causali che solo giustificavano il suo utilizzo, ferma restando, in assenza di specifica disposizione del Ccnl, l’introduzione di un limite quantitativo massimo di ricorso a tale tipologia contrattuale pari al 10% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto. Quanto alla somministrazione si sarebbe potuto almeno osare abrogare l’ennesimo adempimento a carico delle aziende di comunicare ai sindacati la stipula dei contratti di somministrazione, sia in via preventiva volta per volta prima della sottoscrizione, sia a consuntivo annualmente. Nello schema di decreto è confermata la sanzione per il caso di violazione di tale obbligo da 250 a 1.250 euro.
Anche l’apprendistato dovrebbe essere ripensato e semplificato, ad esempio togliendo l’obbligo di stabilizzazione e riducendo in via generalizzata il costo della formazione, soprattutto perché rischia di estinguersi nel competere con il contratto a termine, liberalizzato con il Jobs Act (atto 1°), e con i vantaggi, soprattutto in termine di costo, del tempo indeterminato.
Oggi nello schema di decreto le modifiche più rilevanti sono la possibilità di assumere con apprendistato professionalizzante soggetti percettori di indennità di disoccupazione e, allo scopo di promuovere l’apprendistato per qualifica/diploma e di alta formazione/ricerca (peraltro meno utilizzati dell’apprendistato professionalizzante), è stabilito che il datore di lavoro non è tenuto a versare la retribuzione per le ore di formazione esterna, mentre deve versare il 10% della retribuzione per le ore di formazione interna.
Anche il lavoro accessorio viene modificato e forse reso più “attrattivo”. Innanzitutto il limite complessivo annuo di compenso è innalzato da 5.000 a 7.000 euro netti (2.000 per singolo committente), ma soprattutto si precisa che “per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura subordinata o autonoma“. Su tale espressione è fondamentale un chiarimento perché, ci si chiede, accanto a un operaio assunto come dipendente si può far lavorare un soggetto con i voucher sino al limite economico stabilito?
I descritti cambiamenti introdotti sia sulle forme subordinate che autonome non devono far dimenticare che gli effetti deflattivi dei contenziosi non si ottengono solo con il cambiamento delle tutele (art. 18), ma soprattutto con la semplificazione e la chiarezza delle regole sostanziali. È sufficiente porre l’attenzione a quanto accaduto con i contratti a termine e di somministrazione: da quando è stato cancellato l’obbligo di indicazione della causale è crollato il contenzioso. Tale metodo potrebbe essere esteso alle riforme ancora in cantiere, prima fra tutte quella che interessa il lavoro flessibile (part-time, lavoro intermittente), ma anche il lavoro autonomo per il quale è auspicabile un termine più ampio per “regolarizzare” e regole future più chiare.
A oggi lo schema di “codice dei contratti” approvato in via provvisoria dal Consiglio dei Ministri e all’esame della Ragioneria di Stato si limita, per lo più, a concentrare in un unico corpo normativo le regole esistenti su part-time, contratto a termine, contratto di somministrazione, lavoro intermittente, lavoro accessorio, senza passi decisivi verso la semplificazione. C’è ancora tempo per rimediare provando a modificare il testo per far scomparire adempimenti, regole e norme eccessivamente complesse e formali che producono solo contenzioso con i dipendenti e con gli organi di vigilanza senza offrire maggiori tutele ai lavoratori, né chiarezza sul quadro normativo di riferimento.