Il disegno di legge sulla flessibilità pensionistica continua a essere esaminato dalla commissione Lavoro della Camera. A partire dalla proposta di Cesare Damiano, l’obiettivo è consentire il ritiro anticipato dal lavoro a partire dai 62 anni, dopo averne maturati 35 di contributi. Ad annunciare le modifiche alla legge Fornero è stato Giuliano Poletti, ministro del Welfare. Ne abbiamo parlato con Nicola Salerno, direttore del Centro Studi Reforming, per la quale ha curato due proposte che vanno nella stessa direzione del ddl Damiano pur basandole su un calcolo attuariale molto più preciso.



La flessibilità pensionistica può dare le risposte necessarie al nostro sistema previdenziale?

È da tempo che si parla di pensionamento flessibile e io mi sono sempre schierato a favore. È un metodo per responsabilizzare le persone rispetto al momento di pensionamento senza obbligarle a prolungare la permanenza, e quindi senza mantenerle forzatamente al lavoro impedendo a un giovane di prendere il loro posto. Il punto cruciale di questa nuova regola è stabilire di quanto si riduce l’assegno se ci si ritira dal lavoro prima dell’età ordinaria, e di quanto aumenta se si decide di prolungare l’attività lavorativa. Sullo schema generale siamo tutti d’accordo, il punto cruciale su cui mi aspetto una difficoltà a raggiungere un’intesa è su quanto vadano corrette le pensioni se ci si ritira un po’ prima o un po’ dopo.



Che cosa ne pensa nello specifico del ddl Damiano?

Una proposta simile è stata lanciata da Reforming, il centro studi che dirigo. Le percentuali fanno la differenza e devono essere calcolate nel modo il più possibile trasparente, ma il meccanismo complessivo mi trova favorevole. Occorre ritornare al pensionamento flessibile, previsto già dalla riforma Dini del ’95, responsabilizzando però le persone all’interno di questo intervallo anagrafico. Va chiesto loro di accettare delle riduzioni se si ritirano prima, premiandole invece se vanno in pensione dopo. Su questo vorrei fare un nota bene…



Prego.

Le percentuali non devono dipendere da un accordo concertato, ma da un calcolo attuariale, diversamente gli effetti di una riforma di questo tipo potrebbero non essere così benefici. Il senso di una riforma all’insegna della flessibilità pensionistica sta proprio nel fatto di responsabilizzare i lavoratori. Il pensionamento flessibile è un sistema che mi convince, vorrei vederci più chiaro sul modo in cui sono state calcolate queste percentuali.

In che cosa consistono le sue proposte?

Ho proposto due soluzioni per il pensionamento flessibile. La prima è molto simile a quella prevista nel disegno di legge, con tre diverse penalizzazioni calcolate in senso attuariale. Andando in pensione un po’ prima, l’assegno è ridotto in una quantità tale da lasciare inalterato il valore attuariale di tutte le pensioni che una persona riceve fino al decesso. In modo corrispondente, per chi va in pensione più tardi la pensione deve aumentare in modo sufficiente da permettergli di ricevere in valore attuariale la stessa rendita pensionistica cui avrebbe avuto accesso se si fosse pensionato prima.

 

In che senso prima ha detto che va riproposto il modello della riforma Dini?

La riforma Dini permetteva il ricalcolo contributivo della pensione per chi si pensionava all’interno del sistema retributivo o del sistema misto. In quella riforma era già prevista un’opzione di ricomputo con il criterio totalmente contributivo. Alcuni l’hanno letta come clausola di salvaguardia per permettere a tutti di scegliere nel momento in cui si introduceva la riforma. Altri invece l’hanno letta come un’opzione per rivedere le regole pensionistiche permettendo un pensionamento flessibile più ampio, purché nell’ottica di un ricalcolo contributivo. Sono andato quindi a riprendere quanto affermava la legge 335 sul ricalcolo contributivo, applicandolo alle pensioni retributive o contributive per permettere alle persone di andare in pensione all’interno di quell’intervallo anagrafico.

 

(Pietro Vernizzi)