Era il 1983 quando usciva nelle sale italiane un film, “Sapore di mare”, che sarebbe poi diventato “cult”, nel quale si raccontavano le vicende amorose, ma non solo, di alcuni giovani degli anni ’60, interpretati, tra gli altri, da un giovane Jerry Calà e una bellissima Isabella Ferrari, che passavano le loro vacanze estive in Versilia. Il film si chiudeva sulle note di Cocciante e della sua “Celeste nostalgia”.
Una nostalgia dei bei tempi andati che probabilmente vive nei sogni di quei 30-40enni di oggi colpiti da un’inguaribile sindrome di Peter Pan e che con quei film sono cresciuti nelle tante serate delle loro lunghe vacanze estive che iniziavano a giugno e finivano a settembre. Una nostalgia che, probabilmente, non potrà colpire più i giovani d’oggi. Almeno così la pensa il ministro del Lavoro Poletti che, due giorni fa, intervenendo a Firenze a un convegno, ha sostenuto che un mese di vacanze estive va bene, ma che non vede il bisogno, o che perlomeno non ritiene vi sia un obbligo, di farne tre. Parafrasando, insomma, uno slogan elettorale di qualche anno fa, potremmo dire: meno vacanze per tutti.
La provocazione, che ha causato, ovviamente, un vespaio di polemiche e discussioni, è, tuttavia, coerente con l’impostazione complessiva del progetto renziano della “buona scuola”. Nel progetto di legge di riforma della scuola, infatti, si scommette con forza sulla valorizzazione dell’alternanza scuola-lavoro che, prima di tutto, significa, ovviamente, ripensare l’organizzazione dei tempi dell’anno scolastico-formativo a partire, proprio, da quelli delle vacanze, specialmente estive.
D’altronde, bisogna ricordare che siamo uno dei paesi con le vacanze estive più lunghe d’Europa e che questo potrebbe, almeno secondo alcuni esperti, non fare così bene ai giovani. Si sostiene, infatti, che un tempo così prolungato di inattività vanifichi gli sforzi d’apprendimento fatti durante l’anno scolastico e ridimensioni fortemente l’impatto dello studio.
Molti operatori del settore non ritengono, quindi, scandalosa l’idea di revisionare il calendario e gli orari delle lezioni anche per bilanciare meglio, nel corso di tutto l’anno, i periodi in cui gli studenti possono riposare.
Piuttosto che cumulare i giorni di “ferie” in estate è, insomma, preferibile, e auspicabile, prevedere pause più frequenti e distribuite più razionalmente. Attraverso questo espediente i nostri ragazzi potranno così approcciarsi alla didattica in modo più efficace, senza perdere l’abitudine e il ritmo dello studio.
È, insomma, la fine di una certa idea di scuola, potremmo dire la “rottamazione” di un modello liceale e medio borghese progressivamente affermatosi a partire dagli anni ’60. Probabilmente avremo così ragazzi più preparati e pronti per il mercato del lavoro. La speranza è che, tuttavia, insieme a questo non si rottami anche il valore formativo di quelle lunghe giornate a bighellonare, quel dolce far niente sognando un domani che forse non arriverà mai.