Si è tenuta sabato a Roma la manifestazione chiamata a gran voce da Maurizio Landini e dalla sua Fiom, in vista del suo progetto di “coalizione sociale”, di cui abbiamo più volte parlato su queste pagine fornendo anche elementi in anteprima. Considerando che in piazza con Landini c’erano, oltre a Susanna Camusso piuttosto “defilata”, anche la sinistra dem (da Pippo Civati a Gianni Cuperlo, da Rosy Bindi a Barbara Pollastrini fino a Stefano Fassina), Sel al gran completo (con il leader Nichi Vendola, il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni, il capogruppo alla Camera Arturo Scotto) e, anche, il costituzionalista Stefano Rodotà, le 15 mila adesioni rilevate dalla Questura di Roma sono indice della scarsa attenzione che il progetto di Landini sta concretamente ottenendo.
Landini è uomo molto acuto e capace, i messaggi che partono da piazza del Popolo sono messaggi che il sindacato tace da 20 anni. Non a caso Landini dice di voler riformare il sindacato. Il problema è, semmai, che Landini è un interprete conflittuale, e non partecipativo, della dialettica lavoro-impresa. E che, quindi, il caso va seguito con la giusta attenzione.
Al di là della comprensibile propaganda da cui non è immune nessuna organizzazione – “ci siamo stancati di spot elettorali, slide e balle; Renzi ha messo in piedi la sua coalizione sociale con Confindustria e Bce” – Landini ammette di aver sottovalutato il “disastro sociale della precarietà” e annuncia che “con la Cgil vogliamo proporre un nuovo Statuto in grado di estendere i diritti a tutti i lavoratori”. Ma, a parere di chi scrive, i messaggi interessanti sono anche questi: “Non sono le tutele che frenano le imprese estere, sono le mazzette. Per rilanciare l’economia occorre una ripresa degli investimenti, ma sul fronte dell’occupazione bisogna ridurre gli orari di lavoro e l’età pensionabile”.
Non ci sono dubbi che, mentre dalla politica qualche segnale di novità è arrivato – questo non significa che tutto ciò che il Governo Renzi sta facendo sia cosa buona – il sindacato pare ancora molto immobile; il fatto è che dei problemi del nostro Paese il sindacato è corresponsabile, non ne è esente. Perché stante le dichiarazioni dei leader sindacali – a dire il vero l’unica che parla ultimamente è Susanna Camusso – il sindacato si chiama fuori, addossa tutte le colpe alla politica. La politica è per il sindacato il grande alibi, quando da troppo tempo con essa ha gestito male molte delle criticità del nostro Paese: i casi Alitalia, Alfa Romeo e Sulcis sono emblematici, rappresentano occasioni mancate in cui, invece di rilanciare il lavoro, si sono sostenuti a oltranza – con miliardi di cassa integrazione – bacini di lavoro improduttivo che non avevano futuro.
Il disastro sociale della precarietà è la scelta, soprattutto dei sindacati più che del legislatore, di scaricarla in particolare sui giovani, perché al sindacato è premuto fare gli interessi dei pensionati e del lavoro dipendente. Di giovani, tra i loro tesserati, del resto ce ne sono troppo pochi. Il sindacato italiano oggi deve scegliere: se continuare a essere la lobby del lavoro dipendente e dei pensionati, o se iniziare a concepirsi come attore sociale che deve contribuire a governare processi di cambiamento e di trasformazione sociale. Abbiamo perso, da questo punto di vista, almeno 20 anni, il nostro gap con gli altri paesi è anche questo: l’incapacità di avere governato un cambiamento socio-economico epocale. In questo senso, la politica non è solo dei partiti, è anche dei sindacati.
Landini punta il dito contro “le mazzette”, gli orari di lavoro e l’età pensionabile: per quanto riguarda la corruzione ha fin troppo ragione, basti pensare che a febbraio 2014 l’Ue ha rilevato che il livello della corruzione in Italia equivale alla somma dei livelli degli altri 27 paesi europei; per quanto riguarda gli orari di lavoro, oggi come oggi i lavoratori subordinati e parasubordinati sono ben oltre l’orario di lavoro – a volte anche senza la retribuzione dello straordinario – col risultato che c’è chi si ammazza di lavoro e chi lavoro non ne ha; circa l’età pensionabile, è noto che i giochi degli ultimi governi sono serviti soltanto a contenere la spesa pubblica.
L’Italia si deve dare un vero progetto per il futuro e questi sono temi su cui la politica e il sindacato devono lavorare insieme. Lasciare che sia il solo Landini a occuparsene significa fare in modo che la piazza per lui sia sempre più popolata. La verità è che il sindacato ha dormito per troppo tempo, adesso è tempo di darsi una svegliata.
In collaborazione con www.think-in.it