Dopo il no della Consulta al referendum per abolire la legge Fornero, la Lega nord si fa avanti con una nuova proposta per riformare il nostro sistema pensionistico. L’idea è che i datori di lavoro versino un’aliquota fissa per ciascun lavoratore, pari al 10% a prescindere dal suo stipendio, e che il resto vada direttamente in busta paga. La fascia di reddito servirà soltanto a stabilire l’ammontare della pensione, distribuita in tre scaglioni fissi da 1.000, 800 e 500 euro al mese per 14 mensilità. Ma soprattutto la nuova norma varrà soltanto per i nuovi assunti. Ne abbiamo parlato con Luca Spataro, professore di Economia politica all’Università degli Studi di Pisa.
Che cosa ne pensa dell’aliquota unica proposta dalla Lega nord?
Sono favorevole all’idea di ridurre il contributo previdenziale obbligatorio. L’aliquota attuale del 33% è effettivamente troppo elevata rispetto ai nostri partner europei e alla media dei Paesi industrializzati. Dall’inizio degli anni ’90 in poi l’aliquota è stata progressivamente aumentata proprio per tamponare lo squilibrio dei conti del sistema previdenziale.
Per quali motivi non si è mai cercato di abbattere questa aliquota?
Non c’è una ragione particolare di natura economica per considerare come ottimale un’aliquota così elevata, anzi per una serie di motivi è auspicabile che quest’ultima si riduca. In primo luogo, perché il sistema contributivo lascia poco spazio a forme redistributive vere e proprie. Inoltre, un’aliquota così elevata genera più facilmente degli squilibri nei conti. In una situazione ideale l’aliquota previdenziale dovrebbe essere compresa tra il 15% e il 20%. Il resto dovrebbe essere lasciato alla decisione dei lavoratori.
Ritiene che la proposta della Lega presenti anche degli aspetti problematici?
Il problema della proposta della Lega nord riguarda la transizione. Lo stesso premio Nobel, Franco Modigliani, aveva previsto i meccanismi per una transizione che comunque necessiterà di qualche decennio. Il fatto è che gli attuali contributi dei lavoratori vanno a pagare le pensioni degli attuali pensionati. Il nostro sistema è a ripartizione, non c’è un fondo al quale si può attingere.
E quindi?
Anche se si tratta di una proposta per certi versi condivisibile, la Lega nord deve spiegare dove attingerà le risorse per finanziare le pensioni degli attuali pensionati. Il Cile ha finanziato la decontribuzione dei lavoratori privatizzando le miniere di rame. La Norvegia invece grazie ai proventi del petrolio sta accumulando risorse per finanziare le future pensioni. Peccato però che l’Italia non abbia né le miniere di rame né il petrolio, e non credo che la proposta della Lega nord includa la vendita delle Alpi o del Colosseo.
Intanto in commissione Lavoro alla Camera si è aperta un’indagine conoscitiva perché sembra che la riforma Fornero penalizzi le donne. Lei che cose ne pensa?
La riforma Fornero a regime ha eliminato le pensioni di anzianità. Tutti noi ci ritireremo quindi dal lavoro con la pensione di vecchiaia. Il requisito dei contributi continua ad aumentare per tutti, e non possiamo discriminare uomini e donne. Un primo problema però è già presente nel coefficiente di trasformazione, attraverso cui si calcola il passaggio dal montante contributivo alla rendita. La nostra legge prevede che questo coefficiente sia uguale per tutti.
In che senso un coefficiente uguale per tutti sarebbe un problema?
Le donne sono avvantaggiate perché hanno un’aspettativa di vita più lunga e quindi ricevono una pensione che in proporzione è maggiore. Ciò compensa il fatto che le donne sono d’altro canto penalizzate in quanto vanno in pensione più tardi. Ma questo non toglie il fatto che se esistono disuguaglianze e sperequazioni, occorra intervenire per risolverle. La verità è che ormai con il contributivo tutti andranno in pensione a 66 anni. La prospettiva è che la maggior parte delle persone abbiano una vita lavorativa che inizia a 27 o 28 anni. Difficilmente quindi un lavoratore raggiungerà i 43/44 anni di contribuzione necessari per l’ex pensione di anzianità.
(Pietro Vernizzi)