“Rendendo omogenei i contributi previdenziali versati dai datori di lavoro a prescindere dall’ammontare degli stipendi, si riuscirà finalmente a invertire la tendenza rispetto alle politiche del lavoro degli ultimi 30 anni che sono state radicalmente sbagliate”. Lo spiega il professor Nino Galloni, membro effettivo del collegio dei sindaci dell’Inps, che ha collaborato a preparare una proposta in seguito fatta propria dalla Lega nord di Matteo Salvini. In pratica l’idea è che il datore di lavoro versi un contributo fisso per ciascun nuovo assunto, a prescindere dal reddito, e che il lavoratore al momento di andare in pensione riceva un assegno suddiviso in tre scaglioni da 500, 800 e 1000 euro al mese.



In che modo ritiene che questa proposta di riforma possa correggere i difetti dell’attuale sistema previdenziale?

Più che i difetti dell’attuale sistema previdenziale, il problema riguarda l’intera politica economica e del lavoro, che in questi 30 anni ha portato a ridurre notevolmente le paghe e soprattutto a creare situazioni di precariato dalle quali non riusciamo a uscire.



Come nasce questa idea?

Questa proposta è stata fatta propria dalla Lega nord, ma nasce dal leader del Partito Italia Nuova (Pin) di Armando Siri che ho aiutato al momento dell’elaborazione. Io ritengo che in questo modo potremmo risolvere il problema più grave presente nel nostro sistema economico, e cioè il fatto che abbiamo favorito le assunzioni e le tipologie lavorative meno qualificate, peggio retribuite e più precarie. Quella delle assunzioni per posti di lavoro “buoni” è invece rimasta una nicchia.

Perché con il contributo fisso si risolve questo problema?

Perché si rende indifferente per il datore di lavoro l’assunzione e il mantenimento di un lavoratore super-professionalizzato e super-pagato rispetto al mantenimento di un lavoratore semplice. In questo modo ci si muove in controtendenza rispetto a quanto è successo fin dagli anni ’80 quando in Italia abbiamo rinunciato a difendere i salari e le condizioni dei lavoratori.



Lei ritiene che la legge Fornero non funzioni?

Quando la legge Fornero andrà a regime sarà matematicamente in equilibrio. Il problema è che lo sarà dal punto di vista finanziario, ma non da quello sociale. Dal momento che i giovani beneficiano di salari troppo bassi, anche le loro pensioni un domani saranno troppo basse. Mentre con la proposta del Partito Italia Nuova e della Lega nord si agevolerà l’assunzione di un lavoratore ben pagato rispetto a uno meno pagato, perché c’è una convenienza per l’impresa a farlo in quanto i contributi sono uguali per tutti.

Ma non basta già il Jobs Act per risolvere questo problema?

Il Jobs Act ha un effetto positivo, ma debole. Rispetto ai grandi numeri dell’economia, della previdenza e della domanda aggregata per consumi, non vedo un impatto significativo. Gli stessi 80 euro possono essere un’idea carina, ma non modificano certo la macroeconomia.

 

Se si abbassa l’aliquota per i nuovi assunti, chi pagherà le pensioni degli anziani?

Se la modifica dell’aliquota determina una crescita dell’economia, ci saranno le risorse per farlo. Gli anziani che sono andati in pensione con il vecchio sistema, tra 20-25 anni non ci saranno più. Questa riforma delle pensioni, come qualsiasi altra, va in equilibrio a regime, mentre adesso ciò non può avvenire perché esiste una competenza tra la cassa e la competenza.

 

Ma nel frattempo aumenta il debito pubblico…

Se c’è bisogno di risorse, o si aumentano le tasse o si aumenta il debito pubblico o si aumenta il deficit, non ci sono altre strade.

 

Vale la pena farlo?

Il male minore è l’aumento del disavanzo, come sta facendo la Francia. Il debito di Parigi però ha la tripla A, e quindi anche se aumentano deficit e debito il servizio del debito non aumenta. La Francia riesce sempre a procurarsi denaro fresco, mentre l’Italia se ne ha bisogno si ritrova in una situazione simile alla Grecia.

 

(Pietro Vernizzi)