L’Inps ha diffuso una circolare per illustrare le modalità di ricalcolo delle pensioni diventate troppo ricche rispetto ai contributi versati. Il tutto era stato previsto dalla legge di stabilità di dicembre, e colpirà soprattutto le “pensioni d’oro” di funzionari pubblici, professori universitari e magistrati. Intanto fa ancora discutere la possibilità di tassare le pensioni al di sopra di un certo ammontare per introdurre un reddito minimo garantito per le persone con più di 55 anni che perdono il lavoro, di cui Tito Boeri sembra sostenitore. Ne abbiamo parlato con Giorgio Airaudo, deputato di Sel e membro della commissione Lavoro alla Camera.



Partiamo dalla proposta di Boeri. Lei è d’accordo con il presidente Inps?

Il punto è che bisognerebbe rimettere mano alle pensioni e non soltanto correggere gli effetti della riforma Fornero. Dobbiamo ridurre l’età pensionabile, in quanto abbiamo una legge che ci porta in pensione più tardi rispetto a tutti gli altri Paesi europei, a un’età che aumenterà superando i 67 anni. La normativa italiana inoltre che non fa distinzioni tra professioni diverse e pretende che siano tutte uguali, quando invece non è così: un conto è fare il professore universitario, un altro l’edile sulle impalcature.



Lei è a favore della flessibilità in uscita?

L’idea che ci si limiti a immaginare una flessibilità in uscita, sia pure auspicabile, costringendo i lavoratori a pagarla in cambio della rinuncia di una parte del loro assegno sarebbe una doppia beffa. Sarebbe clamoroso se poi per trovare i fondi per gli ultra 55enni si dovesse prenderli dalle pensioni dai 2-3mila euro in su. Una pensione da 2mila euro vuol dire 1.400-1.500 euro netti, mentre 3mila euro lordi corrispondono a 2mila euro netti: stiamo parlando di pensioni medie da lavoro dipendente.

Il sottosegretario Barretta ha annunciato che nella legge di stabilità ci sarà il bonus da 80 euro per i pensionati. Si riusciranno a trovare le risorse?



Faccio fatica a pensare sia che ci siano queste coperture, sia che lo strumento di redistribuzione di cui abbiamo bisogno sia il bonus da 80 euro. Le elargizioni ora a quella fascia e ora a quell’altra non cambiano le cose, soprattutto se non sono accompagnate da interventi reali in grado di creare lavoro stabile e quindi certezze ai cittadini sul loro futuro e allo Stato sulle entrate tributarie.

Qual è la soluzione?

Bisognerebbe affrontare il problema della tassazione a partire da una vera progressività, ricostruendo un patto con i cittadini. Siamo invece di fronte a iniziative spot che hanno soprattutto finalità comunicative di solito in prossimità di scadenze elettorali.

 

Le risorse sono scarse. Come si fa ad andare tutti quanti in pensione prima?

Non è vero che le risorse sono scarse. Con la legge Fornero i pensionati sono stati usati come un bancomat per guadagnare credibilità in Europa. Con la riforma a regime nel 2024 il risparmio previsto inizialmente era di 20 miliardi, anche se secondo le previsioni della Ragioneria dell’Inps i risparmi di fatto saranno tra gli 80 e i 90 miliardi di euro. Ci sono inoltre annosi problemi irrisolti, come la divisione tra l’assistenza e la previdenza. Si tratterebbe di avere una trasparenza sui conti che non sempre l’Inps garantisce. La flessibilità in ogni caso non va fatta pagare né ai lavoratori né ai pensionati.

 

E a chi va fatta pagare?

I risparmi resi possibili dalla legge Fornero vanno contabilizzati e bisogna rimettere mano alla riforma complessiva. Noi continuiamo a mettere delle toppe ma è la coperta che non va bene. Fare sì che il lavoratore debba pagarsi la sua uscita flessibile crea delle discriminazioni, perché c’è chi se la potrà pagare e chi no. Se per accedere alla flessibilità si tassano le pensioni al di sopra dei 2mila euro lordi, si colpisce un gran numero di pensionati.

 

Lei quindi che cosa propone?

Dopo varie leggi che hanno allungato l’età pensionabile a tutti in modo indistinto, servirebbe finalmente una riforma che rimettesse a posto le cose. Solo che dubito che questo governo sia in grado di farla. Sel presenterà una sua proposta che avrà come primo perno la riduzione dell’età pensionabile, scendendo significativamente al di sotto dei 67 anni anche per liberare dei posti di lavoro. Mentre il secondo perno sarà la distinzione e la differenziazione tra le professioni. A seconda del lavoro che faccio, e del tempo per cui lo faccio, è giusto che io vada in pensione a un’età differente.

 

(Pietro Vernizzi)