La notizia è di quelle forti, a dispetto di quanto l’opinione pubblica – e i commentatori – siano in grado di capire: i lavoratori di Fiat-Chrysler parteciperanno agli utili dell’azienda. I bonus saranno legati ai risultati, si tratta comunque di 10 mila euro in più (fino a) in 4 anni. Marchionne annuncia la fine della contrapposizione tra capitale e lavoro.



La visione antagonistica dei rapporti tra capitale e lavoro che ha prevalso nella storia e nella cultura delle relazioni industriali in Italia è proprio ciò che ha impedito lo sviluppo di pratiche di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa. Proprio per questa conflittualità, il sistema datoriale italiano, contrariamente a quello tedesco per esempio, non è un sistema che ha sollecitato tale coinvolgimento. Naturalmente sono solo le aziende medio-grandi a investire in strumenti di partecipazione che sono soprattutto strumenti finanziari – come le stock option – che servono a fidelizzare il lavoratore rendendolo partecipe di un rischio, rispetto alle eventuali azioni della società e quindi del suo valore economico. A ogni modo, a oggi, pratiche di partecipazione come quella annunciata da Marchionne sono una novità importante per questo Paese.



L’ad di Fiat-Chrysler ha aggiunto queste parole molto importanti: “Nel 2009 il governo americano ha cercato di risolvere i problemi di un’industria che soffriva di sovracapacità e carenze strutturali, ma non ha affrontato l’obiettivo ultimo che era il costo del capitale, perché questo è un problema che coinvolge l’industria. Escludendo i costruttori nei segmenti premium, l’industria ha dimostrato di non essere in grado di remunerare il costo del capitale”.

Marchionne sta affermando in modo deciso l’interesse sempre più coincidente di impresa e lavoro. Oggi non possiamo più intendere la parola industria slegandola dalla dimensione occupazionale: l’operazione della partecipazione dei lavoratori agli utili va proprio in questa direzione, anche se è pratica largamente condivisa negli Stati Uniti come in Germania. In questo senso andrebbe aperta una vera riflessione, sulla scia del lavoro di Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo”. Ma c’è chi ancora non ha capito che gli interessi di impresa e lavoro oggi sono più che mai convergenti.



Quanto siano dirompenti per l’Italia le intenzioni di Marchionne lo esprimono le parole del duo Landini-Camusso: “Cancellato il nostro ruolo: legare la paga ai bonus significa abbandonare la trattativa contrattuale tra le parti”. La Cgil e la Fiom prendono le distanze dal nuovo sistema retributivo presentato da Marchionne. D’altra parte, però, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri, sposano la linea di Marchionne e sottoscrivono un verbale d’intesa per l’adozione del nuovo sistema retributivo.

È ormai evidente che Marchionne non è stato un bluff, ma ha rivitalizzato un’azienda in stato agonizzante e l’ha portata a essere globale. Oggi Landini proclama scioperi a cui non aderisce più nessuno. La partecipazione ai risultati avvicinerà sempre di più i lavoratori all’impresa e orienterà il sindacato a essere sempre più partecipativo. Per intenderci, la Fiom e i Cobas rischiano di vedere azzerare le loro tessere. Ma una mano a Marchionne la darà Renzi: uno dei prossimi decreti attuativi del Jobs Act è quello relativo al salario minimo. 

È chiaro che molto dipende da come la materia sarà normata, quali settori, quale fasce di lavoratori, ecc., ma se la direzione è questa, cioè quella di una legge che stabilisca i minimi salariali – che un domani potranno essere universali e interprofessionali – qual è il futuro del sindacato? Quale sarà la sua funzione? Quale ruolo per le confederazioni e la tripartizione sindacale? 

Chi scrive crede che il sindacato subirà un pesante ridimensionamento. Non a caso si è speso più volte il nome di Margaret Thatcher, piuttosto indicativo di ciò che sta succedendo…

 

In collaborazione con www.think-in.it

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