“Oggi c’è un problema sociale molto serio: quello delle persone nella fascia di età 55-65 che una volta perso il lavoro si trovano progressivamente in condizioni di povertà. Si calcola che non più di uno su dieci riesce a trovare una nuova occupazione. Per queste persone è ragionevole allora pensare di introdurre un reddito minimo garantito”. Sono le parole di Tito Boeri, presidente dell’Inps, intervistato dal Corriere della Sera. Abbiamo discusso di questa proposta insieme a Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma.



Che cosa ne pensa della proposta di tassare le pensioni più alte per aiutare gli ultra 55enni che perdono il lavoro?

La ritengo un’idea positiva, in quanto la redistribuzione dalle pensioni più alte verso chi ha perso il lavoro in età avanzata mi sembra una buona idea. Fa parte infatti del principio di fraternità espressione della modernità. Ho dei dubbi sul reddito minimo garantito per tutti.



Per quali motivi?

L’obiettivo deve essere quello di dare a tutti il lavoro, e non invece l’assegno per sopravvivere. Garantire a tutti il salario minimo di cittadinanza rischia di diventare una scorciatoia per evitare di combattere la disoccupazione. Anche perché poi la metà di questi soldi finirebbe nelle slot machine e nei gratta e vinci, come ci fa intuire il fatto che ogni anno in Italia sono spesi 90 miliardi di euro per il gioco d’azzardo. Non c’è nessuna garanzia del fatto che dare a tutti un salario minimo voglia dire aumentare il benessere delle persone.

Lei a partire da quale soglia tasserebbe le pensioni?



Ritengo che vada applicato un criterio di progressività a partire da una soglia minima da 2mila euro. In Italia esiste un numero non indifferente di persone che prendono 5mila euro al mese di stipendio, e questa la ritengo una grande ingiustizia. La disuguaglianza è sempre meno tollerata nella società contemporanea, perché oggi le persone sono più informate.

Una persona che prende 5mila euro di pensione però vuol dire che ha sempre pagato i contributi…

Sì, ma ha pagato meno di quello che riceverà, soprattutto se vivrà per altri 20 anni. Il sistema pensionistico in vigore ancora oggi è stato pensato negli anni ’60-’70, cioè in un mondo che aveva due caratteristiche che lo differenziavano da quello attuale. In primo luogo era ancora un mondo fortemente gerarchico, e quindi le persone più in alto nella scala sociale prendevano molto di più perché c’era una sorta di premio per la classe dirigente. Inoltre, normalmente la pensione durava cinque-dieci anni, in quanto ci si ritirava dal lavoro a 65 anni e si moriva a 75.

 

In che modo è possibile adeguare le pensioni al mondo che è cambiato?

Con le pensioni dovremmo cercate di riallineare le disparità durante la vita lavorativa, altrimenti diventano forme di rendita o vitalizi. Per esempio, in questo momento un professore universitario che va in pensione prende molto di più di quello che ha versato. Si sconta ancora oggi un mondo “feudale” che premiava molto le persone più in alto nella cala sociale. Personalmente non credo alla storia dei diritti acquisiti, è soltanto una bugia per giustificare delle rendite di posizione. Occorre quindi intervenire, anche se ciò va fatto con buonsenso, discutendo e condividendo le scelte. Tassare le pensioni più alte secondo modalità progressive è un segno di civiltà. Questa redistribuzione è una parte di quanto va fatto, anche se dovremmo fare molto di più.

 

Che cosa?

È necessario uno spostamento di reddito in favore delle giovani generazioni e verso lo stesso mondo della scuola che soffre di una grave carenza di risorse.

 

(Pietro Vernizzi)