Il Jobs Act ha messo a repentaglio il ruolo del sindacato all’interno dell’azienda e le organizzazioni dei lavoratori hanno reagito non scendendo semplicemente in piazza, ma facendo della piazza il luogo privilegiato di politica sindacale secondo una nuova ben precisa visione. Vediamo, per entrambi i casi, il perché. 



Andando con ordine, il Jobs Act ha tolto al sindacato potere rispetto ai due momenti che, nell’attuale stato di crisi, assumono più rilievo nella vita di un’impresa. Si tratta dei licenziamenti collettivi e dei processi di riorganizzazione interna, posto che entrambi rispondono alla finalità di salvaguardarne l’esistenza. 



Il Jobs Act ha infatti sostituito il diritto alla reintegrazione dei lavoratori licenziati in violazione dell’accordo con il sindacato nei licenziamenti collettivi con quello a un semplice risarcimento. E così il datore di lavoro continuerà a sedersi al tavolo con i sindacati per scegliere i lavoratori “condannati” al licenziamento, ma senza cercare a tutti i costi il compromesso con essi, prospettandosi la possibilità di licenziare, all’atto pratico, chi ritiene al prezzo di un indennizzo. 

Su un altro piano, il Jobs Act ha legittimato il datore di lavoro a modificare le mansioni dei lavoratori senza necessità di interpellare né questi, né i sindacati che, invece, giocavano il ruolo principale nei processi di riorganizzazione aziendale nell’ambito dei quali tali modifiche avevano luogo. 



Passando alle reazioni, il sindacato ha preso atto di questo disegno di svilimento del proprio ruolo in azienda e mutato pelle in vero e proprio “sindacato di piazza”. La piazza non è più semplicemente il luogo in cui il sindacato esprime il dissenso nei confronti del Governo, ma è quello in cui “mette in piazza” i problemi delle aziende per discuterne all’interno di esse con un’autorevolezza mediatica che, in qualche modo, compensa quella di cui il Jobs Act l’ha privata. 

Si tratta di un cambio di rotta importante, posto che i sindacati, negli ultimi tempi, avevano via via rafforzato il ruolo delle rispettive rappresentanze aziendali che, in questo scenario mutato, saranno logicamente spalle più che primi attori. 

Se così stanno le cose, resta allora da chiedersi: è un equilibrio giusto? La risposta è che è un equilibrio necessario. I sindacati, secondo le nuove regole, hanno disperato bisogno di raccogliere consenso per essere rappresentativi. E di certo apparire i responsabili di licenziamenti collettivi che non decidono o di cambiamenti all’interno dell’azienda che non controllano non li aiuta affatto.

Se poi le proposte di azionariato dei lavoratori di cui arriva voce in questi giorni dovessero perseguire la finalità di marginalizzarli ancora, forse si tratta anche dell’equilibrio giusto. 

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