La Lega nord propone di abbattere l’aliquota contributiva sui nuovi assunti dal 33% al 10% e di prevedere tre scaglioni di pensioni da 500, 800 e 1000 euro a prescindere dall’ammontare dello stipendio percepito durante la vita lavorativa. Nell’idea del Carroccio, a pesare sarà soltanto il numero di anni per i quali sono stati versati i contributi. Ne abbiamo parlato con Alberto Brambilla, esperto di previdenza ed ex sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005.
Che cosa ne pensa della riforma ideata dalla Lega nord?
È una proposta che non si può nemmeno commentare. Non c’è un’attinenza tra contributi versati e prestazioni e non c’è alcun interesse a versare per ricevere pensioni così basse. Dal momento che il nostro è un sistema a ripartizione, già oggi ci sono grossi problemi perché con i contributi non si riescono a pareggiare nemmeno le prestazioni.
E quindi?
Chi ha fatto questa proposta non conosce i conti dello Stato, non sa a quanto ammonta il bilancio previdenziale e non ha fatto i calcoli sui costi della riforma. Non si vede inoltre perché un contribuente dovrebbe versare il 10% del suo reddito per avere una pensione forfettaria. Sulle pensioni si può lavorare molto, ma non con idee così estemporanee.
Quali rischi intravvede?
Con la proposta della Lega va a finire che un contribuente paga il 10% su 500 euro di stipendio, gli altri 1000 li prende in nero, ma siccome li ha versati per 35 anni quando si ritira dal lavoro prende un assegno da 1000 euro. Mentre un altro contribuente più onesto di lui versa il 10% su 3mila euro, ma lo fa soltanto per 20 anni, e quindi il suo assegno sarà soltanto da 500 euro.
Lei insomma che cosa propone?
Oggi tutti i nuovi assunti sono inseriti nel metodo di calcolo contributivo e pagano i contributi del 33% fino al massimale che al 2015 è di 100mila euro. In Danimarca si paga invece il 30% di contribuzione sui primi 30mila euro. La mia proposta è quella di adottare lo stesso tetto della Danimarca, mentre il sistema nella sua sostanza deve rimanere com’è oggi. La pensione rimane contributiva, cioè si riceve un assegno nella misura dei contributi versati durante la vita lavorativa, e chi non versa contributi rimane senza pensione.
Tutti quelli che non ha versato abbastanza?
Lo Stato assiste soltanto chi ha avuto gravi problemi di salute fisica o psicologica, quindi gli sfortunati, ma non i fannulloni. La realtà è che oggi in Italia su 16 milioni di pensionati ci sono 8 milioni che non hanno mai pagato i contributi minimi.
Quali effetti avrebbe sul bilancio il fatto di abbassare il tetto a 30mila euro?
Quando un giovane inizia a lavorare, è difficile che abbia fin da subito un reddito superiore ai 30mila euro. Poniamo che l’anno prossimo 100mila giovani entrino nel mondo del lavoro: soltanto una quota minima percepirà più di 30mila euro. Questo tipo di intervento non creerà quindi problemi al bilancio dello Stato, anche se nel lungo periodo determinerà uno sgravio contributivo considerevole.
Quindi avremo una transizione soft?
Esatto. Di qui a dieci anni, almeno il 10% di questi nuovi assunti avrà fatto carriera. Al di sopra dei 30mila euro non pagheranno i contributi, ma l’ammanco per lo Stato sarà modesto. Invece la proposta della Lega è che si versi solo il 10%, ma poi le pensioni degli anziani chi le paga?
Ci sono già degli ammanchi?
Oggi lo Stato per le pensioni spende 214 miliardi e ne incassa meno di 190. Se da domani i nuovi assunti non verseranno più il 33% ma soltanto il 10% su un reddito modesto, bisognerà aumentare le tasse. Se già oggi ho un disavanzo da 24 miliardi di euro, abbassando l’aliquota aumenteremo il debito.
(Pietro Vernizzi)