Con una mossa a sorpresa ma capace di mantenere in linea le posizioni di Padoan, di Zanetti e di dare una soluzione all’impiego del “tesoretto” disponibile, Renzi ha battuto il 5. Anzi ha sventolato il biglietto da 500 euro per 4 milioni di pensionati: totale 2 miliardi per un primo sì alla sentenza sull’anticostituzionalita della deindicizzazione delle pensioni, post-riforma.



I 500 euro promessi (“da agosto” probabilmente per dare all’Inps i tempi tecnici per adeguarsi) sono una somma ben più bassa rispetto a quella che risulterebbe dalla piena restituzione degli arretrati: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, considerando anche le maggiori cifre dovute per il 2014 e 2015 a causa dell’effetto trascinamento (l’aumento della base di partenza da rivalutare), il rimborso integrale vale, per un pensionato-tipo con assegno pari a 3,5 volte il minimo, circa 3mila euro. Per il solo 2012 questo pensionato-tipo avrebbe diritto a 567 euro, che salgono a 630 nel 2013 portando il totale a 1.214. E l’effetto trascinamento fa poi lievitare la cifra, per quest’anno, a 1.229 euro. Resta dunque da capire se Palazzo Chigi e il Tesoro puntano a cavarsela così, rischiando nuovi ricorsi, o se in autunno, con la prossima Legge di stabilità, contano di trovare ulteriori coperture per risarcire il dovuto anche per il secondo anno e i successivi.



Quale la prossima mossa e con quale ispirazione? In strategia è conosciuta come “l’alternativa del diavolo”, cioè la scelta di sacrificare i pochi (2 miliardi solo…) per salvare i molti. Sarà questa la scelta che attende il Governo alla luce delle posizioni assunte dalla Consulta? E nel rispetto, giusto, del principio giuridico assunto dalla Suprema Corte si riuscirà a trovare la “quadra” tra le restituzioni e le risorse disponibili?

In tale contesto di rispetto giuridico si inserisce il giudizio politico dell’equità del dare: nell’immediato sembra un groviglio difficile da dipanare. E quindi, non si può non provare comprensione per il lavoro stressante che obera, per il suo ruolo istituzionale, la Ragioneria Generale, già da mesi caricata da oneri di calcolo e di valutazioni, moltiplicatesi nel tempo e che trovano nelle richieste di riforma il fronte più caldo.



Ma andiamo con ordine rispondendo a una domanda che io ritengo cruciale. In tale contesto, ove si aggiunge il dato (di speranza) fornito dall’Istat sulla crescita, è possibile trovare temporalmente un trade off? Un trade off tra la forzata possibilità di aumentare il potere di acquisto per sostenere il germoglio della ripresa accelerando l’uscita dalla crisi e consolidando passo dopo passo il percorso per rafforzarla e l’equilibrio dei conti richiesto dalla stabilità che di necessità impone virtù? Si può chiedere che questa necessità di virtù non condanni l’Italia a giacere esangue sotto il carico fiscale che nonostante un prevedibile aumento delle entrate resta comunque una leva di manovra? Si badi bene una e non la leva di manovra.

Come si può ben immaginare il meccanismo che attiva e prolunga virtuosamente la ripresa trasformandola in crescita passa attraverso la spendibilità effettiva del potere di acquisto e quest’ultimo identifica il volume che se ne può immettere sul mercato più che la sua composizione, sia essa indicizzazione o meno.

Se potessimo fare come i bambini e mettere sul tappeto di giochi posto sul pavimento tanti cubetti di Lego, quese affermazioni sarebbero più semplici perché “più visibili” e il non avere – come in ogni gioco – dei limiti, ci potrebbe aiutare a trovare, o almeno ad avvicinare, una soluzione che sembra solo contabile e finanziaria, ma in realtà è molto di più.

Iniziamo dalla linea Boeri. Definirla proposta è improprio sia perché non siamo ancora a giugno, mese previsto per la sua formalizzazione, sia perché molte voci autorevoli si riconoscono in essa. Più che “l’alternativa del diavolo” essa sembra “l’alternativa di Sherwood”, anche se alla prima ci arriveremo dopo passando pure per la seconda. È indubbio che prolungare, o – in quadro più ampio – ridefinire la solidarietà orizzontale tra pensionati sia – nel rispetto di un diritto acquisito – un percorso irrinunciabile. Che sia un percorso simbolico per l’entità del gettito come da molti segnalato, o sia un percorso allineato ad altri da intraprendere non è una quaestio poco rilevante di questi tempi, perché va a fare sommatoria nel problema “core”.

Chi decide cosa lo abbiamo visto. I diretti interessati lo hanno vissuto. A suo tempo, come sappiamo Prodi e Berlusconi intervenirono sul problema. Monti-Fornero “chiusero la saracinesca” e successivamente la rivalutazione delle pensioni ripartì con quattro scaglioni anziché i vecchi tre. Dal 2014 l’indicizzazione – spero di non essere inesatto (lo spazio per i commenti è a disposizione) – è al 100% per gli assegni fino a tre volte il minimo, al 90% per lo scaglione di pensione compreso tra tre e quattro volte il minimo, al 75% per lo scaglione tra quattro e cinque volte il minimo e al 50% per gli importi superiori a cinque volte il minimo. Per il solo 2014 era previsto il blocco dell’indicizzazione per la parte di pensione che supera le sei volte il minimo (3mila euro lordi). Il tutto s’integra con un contributo di solidarietà a gravare sulle pensioni d’oro limitato nel tempo.

Tutto ciò fa emergere il tempo come una variabile fondamentale sia nel caso si decida sulla rateazione come si ventila, sia nel caso si scelga di venire incontro a una pluralità di esigenze non solo economiche ma anche sociali. Cosa vuol dire? In primo luogo, vuol dire che si può rispettare il principio giuridico addotto dalla Consulta e lavorare “di cambio”. Il rispetto della Consulta vale per il biennio 2011-2012 oltre 3-4 miliardi. Vuol dire far crescere il potere di acquisto per l’equivalente del netto spettante per il biennio. L’esborso di questa unica tranche e il ricalcolo delle trattenute fiscale pertinenti fa diminuire l’impatto deflagrante. Lavorare “di cambio” è fare quello che fa il guidatore sapendo a cosa serva “il differenziale del cambio”. Credo che il Governo possa mutare sia la tempistica del rilascio dei rimborsi fino alla concorrenza del dovuto, sia le modalità di indicizzazione future.

Credo che modificando in modo più incisivo le indicizzazioni, riservando il livello non a un peg automatico, ma a un preciso articolo di ogni futura Legge di stabilità si possa far fronte sia al contingente, sia lavorare step by step a mantenere un equilibrio per così dire “dinamico”. Si potrebbe allora pensare che la percentuale di indicizzazione vari in misura differente al ribasso per le pensioni superiori a X volte secondo le esigenze annuali di bilancio, senza mai andare a un blocco, partendo da una griglia ridefinita.

Questa sarebbe la vera “alternativa del diavolo”: sacrificare in senso inversamente proporzionale, rallentandone l’indicizzazione, fino a minimizzarla in modo quasi prossimo allo zero, poche (in termini relativi) pensioni “più ricche”, a favore della sostenibilità di un’indicizzazione piena per la più vasta platea esistente di pensioni “meno ricche”. E probabilmente una tale soluzione sarebbe pure gradita a Zanetti e Boeri, in mancanza di una “tempesta perfetta”, come sembrava quella della Consulta.

Il tempo tuttavia non può essere solo un fattore dimensionato a livello nazionale e trascurato a livello europeo. Se come si dice a Bruxelles tirano la riga al 31 dicembre, sarebbe opportuno alzare ancora di più la valenza politica di un tempo economico così come interpretato a livello Ue. I paesi valutati al 31 dicembre non cessano, infatti, di esistere il 2 gennaio dell’anno successivo (il 1° è festa!).