“La flessibilità in uscita è importante non solo per rimuovere alcuni elementi di rigidità del sistema previdenziale, ma anche per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in questi anni oggettivamente limitato anche dall’allungamento dell’età pensionabile”. A sottolinearlo è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un’intervista a Il Corriere della Sera. Il responsabile del dicastero del Welfare ha aggiunto che “sono le stesse aziende che ci richiedono questa sorta di staffetta generazionale. Quanto alle proposte ne parleremo a settembre con la legge di Stabilità, in base alle risorse disponibili”. Abbiamo chiesto un commento ad Alberto Brambilla, esperto di previdenza ed ex sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005.
Ritiene che sia giusto tornare a parlare di flessibilità?
La legge Fornero ha oggettivamente creato delle rigidità in uscita abbastanza problematiche, perché indicizza l’età anagrafica della pensione alla speranza di vita e a ciò aggiunge l’indicizzazione dell’età contributiva. In questo modo occupa entrambi i canali che permetterebbero l’uscita di una persona dal mondo del lavoro. La legge Fornero alza inoltre l’età pensionabile a 67 anni e richiede un’anzianità contributiva abbastanza elevata, creando così un blocco piuttosto vistoso. Un po’ più di flessibilità è quindi necessaria, ciò che occorre però è che sia sostenibile.
Tra le tante proposte sul tavolo, lei per quale propende?
Quella avanzata dall’onorevole Cesare Damiano e dal sottosegretario Pier Paolo Baretta è tutto sommato una soluzione praticabile, ben congegnata e che può rimettere in moto il mercato. L’idea è quella di prevedere penalizzazioni o vantaggi a seconda che uno si ritiri dal lavoro prima o dopo dei 67 anni. La proposta può essere abbinata a un piano per rendere la terza età più fattiva.
Che cosa ne pensa invece dell’idea della staffetta generazionale per favorire l’occupazione tra i giovani?
Non penso che sia questo il vero tema. La questione è rendere possibili le opportunità per la creazione di posti di lavoro. Il nostro tasso di occupazione è all’ultimo posto tra i Paesi Eurostat dopo la Grecia e Cipro, sia in termini globali sia come percentuale femminile sia come over 55. Non possiamo quindi pensare di ridurre ulteriormente il numero di anziani che lavorano, ma occorre favorire l’occupazione con una politica industriale.
Da dove è possibile cominciare?
Vanno rimossi gli ostacoli che impediscono di rilanciare l’occupazione. Il nostro Paese è al primo posto in Europa dal punto di vista del peso dei contributi sociali, siamo tra i primi cinque Paesi per carico fiscale, siamo la nazione con il costo dell’energia più alto. Abbiamo uno dei costi più pesanti per quanto riguarda le accise e siamo strangolati dalla burocrazia, tanto è vero che un datore di lavoro si trova a dedicare un terzo del suo tempo a espletare le pratiche. Per non parlare delle vessazioni dell’Agenzia delle Entrate nei confronti degli imprenditori, aggravate dal fatto che ciascuna Regione si inventa la sua regola diversa dalle altre.
Oggi gli esodati scenderanno in piazza per chiedere la settima salvaguardia. Quale ritiene che sia la soluzione?
L’unica soluzione è effettivamente la settima salvaguardia. Gli esodati ancora da salvaguardare sono tra i 30 e i 50mila e questo sarebbe l’ultimo intervento. Al governo non resta che mettervi nuovamente mano in modo da chiudere la questione una volta per tutte. D’altra parte per alcuni soggetti la legge Fornero ha ritardato l’andata in pensione di sette anni, gli ammortizzatori sociali durano per 48 mesi, i fondi esuberi cinque anni, le riduzioni concordate per riduzione del personale vanno dai 36 ai 40 mesi, ed è quindi evidente che avremo ancora uno strascico del caso esodati sia quest’anno sia in misura minore l’anno venturo.
(Pietro Vernizzi)